MITI E LEGGENDE DEL CIELO

 

 

 


Quando avveniva un'eclisse, i cinesi pensavano che
il Sole stesse per essere divorato da un enorme drago.

Il popolo faceva quanto più rumore possibile

per farlo fuggire di spavento. E ci riuscivano sempre!

 

 

ACQUARIO

La leggenda dell'Acquario ha per protagonista il portatore d'acqua Ganimede, pastorello così buono e gentile che gli venne donata dell'ambrosia, il cibo degli dei, per renderlo immortale. Un giorno, mentre custodiva le pecore giocando con il cane Argo, il dio Zeus inviò Aquila, il suo gigantesco rapace, sulle pianure di Troia perché lo conducesse al tempio degli dei. Ganimede diventò il suo portatore d'acqua prediletto, e sul dorso di Aquila lo accompagnava ovunque andasse. La bontà di Ganimede si manifestò ancor più chiaramente agli dei quando chiese a Zeus di poter soccorrere la gente della Terra, bisognosa di acqua. Il dio, solitamente non molto generoso, si lasciò commuovere dal suo spirito compassionevole e gli diede il permesso di fare ciò che desiderava. Ganimede si rese conto che rovesciare in un sol colpo una grande quantità di acqua sulla Terra sarebbe stato pericoloso, e decise di farla cadere sotto forma di pioggia. Ecco perché Ganimede, il pastorello, è conosciuto come il dio della pioggia.

 

 

ANDROMEDA

Vedi Cassiopea e Perseo.

 

AQUILA

Aquila apparteneva a Zeus, E' protagonista non solo della leggenda dell'Acquario (in cui Ganimede donò la pioggia alla Terra), ma anche della leggenda di Prometeo (nella quale gli uomini ottennero il fuoco).

I Titani erano divinità giganti che combattevano il dio greco di Olimpia, Zeus, il nuovo signore del mondo. Uno di loro, Prometeo, non si oppose a Zeus nel corso della guerra. Dopo la sconfitta dei Titani egli divenne un consigliere di Zeus, e mentre era al suo servizio scoprì che gli uomini non conoscevano il fuoco e non potevano difendersi dal freddo, né mangiare cibo caldo. Dispiaciuto per loro, decise di rubare un raggio di Sole, nascondendolo in un cesto di bambù e inviandolo sulla Terra. Da questo raggio di Sole gli uomini ottennero il fuoco e poterono riscaldarsi.

Zeus andò su tutte le furie quando scoprì che agli uomini era stato donato il fuoco senza il suo permesso. Incatenò Prometeo a un monte del Caucaso, condannandolo a restarvi per sempre e a subire i ripetuti attacchi di Aquila. Dopo ogni attacco la ferita guariva, e in seguito le carni venivano nuovamente dilaniate dal rapace. Un giorno, mentre Aquila stava per aggredire il buon Titano in catene, Ercole, che si era compiaciuto del gesto di generosità di Prometeo, ed era ostile a Zeus per la punizione che gli aveva inflitto, scagliò ad Aquila una delle sue frecce magiche. Aquila rimase gravemente ferita. Zeus la curò e la collocò nel cielo perché potesse ancora volare. Oggi Aquila volteggia in prossimità della coda del Cigno.

 

ARIETE

Ariete era il montone di Zeus, signore dei cieli. Il suo vello non era di lana bianca bensì di morbido oro. Un giorno Zeus stava osservando dall'alto gli uomini della Terra quando si accorse che due bambini erano in pericolo di vita. Immediatamente mandò Ariete perché li salvasse, e il montone arrivò appena in tempo per caricare sul dorso i bambini e condurli in salvo. Per rendere onore all'impresa di Ariete, Zeus lo collocò nel cielo, dove può pascolare liberamente accanto a Pegaso, il cavallo alato.

Altra simbologia correlata è quella dell'ariete impigliato tra i rami nel luogo in cui Abramo stava per compiere il sacrificio di Isacco. In segno di gratitudine a Dio che mandò l'angelo a fermare la mano di Abramo, l'ariete fu posto sull'altare e sacrificato a gloria del Signore.

 

AURIGA

Auriga viene rappresentato come il protettore dei pastori, che tiene una capretta tra le braccia mentre attraversa il cielo sul proprio carro. I pastori di tutto il mondo sanno che quando la costellazione dell'Auriga è visibile in cielo la pioggia è vicina, l'erba crescerà rigogliosa e le pecore avranno di che cibarsi.

Si dice che Zeus avesse rotto per sbaglio il corno di una capra. Per farsi perdonare riempì il corno rotto di ogni bene: è quello che viene chiamato <corno dell'abbondanza> o cornucopia.

 

BALENA

Vedi Perseo e Cassiopea.

 

BILANCIA

La Bilancia simboleggia Astrea, la dea della giustizia. Ella poneva sulla bilancia le anime degli uomini e delle donne e li giudicava per le loro azioni. I Sumeri, nel 2000 a.C., la chiamavano Bilancia del cielo.

 

BOOTE

Boote era il figlio di Demetra, la dea greca dell'agricoltura. Era un giovane intelligente, determinato e consapevole dei propri doveri verso il prossimo. Quando vide che gli uomini della Terra faticavano a procurarsi il cibo volle aiutarli. Capì che se si fosse limitato a procurar loro di che nutrirsi, gli uomini avrebbero sempre avuto bisogno del suo aiuto. Decise quindi di dar loro la possibilità di provvedere a se stessi, di rendersi indipendenti. A questo scopo costruì il primo aratro e lo inviò sulla Terra. Da allora gli uomini poterono arare i campi, coltivarli e nutrirsi dei frutti del proprio lavoro. Per questo nobile gesto nei confronti dell'umanità gli dei vollero rendergli onore collocandolo nel cielo vicino al Grande Carro (detto anche Aratro).

 

CANE MAGGIORE E MINORE

Il Cane Maggiore e il Cane Minore erano i cani da caccia di Orione. Il Cane Maggiore era un corridore così veloce da poter raggiungere qualsiasi preda, e per questo era grandemente apprezzato da Orione.

Gli antichi Egizi riconoscevano nella luminosa stella Sirio del Cane Maggiore il dio Anubi, che aveva corpo d'uomo e testa di sciacallo. Quando Sirio appariva nel cielo prima dell'alba era il tempo dell'inondazione del Nilo, evento importante per i contadini perché il limo rendeva il terreno più fertile.  Sirio venne denominata Stella del Cane, e i giorni caldi dell'estate, tra luglio e i primi di settembre, appartengono appunto al periodo di canicola.

 

CASSIOPEA

Cassiopea, la moglie del re Cefeo, era la bella regina D'Etiopia. Il suo orgoglio sconfinava nell'arroganza e spesso si vantava di essere bella quanto le ninfe del mare, le Nereidi. Costoro, figlie del dio del mare Nereo, si indispettirono, non perché fossero anch'esse vanitose, ma perché Cassiopea dimostrava di non capire che la bellezza esteriore era un dono per il quale non poteva vantare alcun merito. Avrebbe potuto manifestare riconoscenza per la propria fortuna, ma certo non inorgoglirsi per qualcosa che non si era in nessun modo conquistata, dimostrando così di avere scarso discernimento.

Le Nereidi chiesero al dio che in quel momento governava sul mare, Poseidone (o Nettuno), di punire Cassiopea per la sua distorta concezione dei valori e per la sua presunzione. Egli ordinò a Balena, gigantesco mostro marino, di distruggere il regno D'Etiopia.

Quando il re Cefeo e la regina Cassiopea furono informati della decisione di Poseidone si recarono dal vecchio e saggio oracolo d'Etiopia a chiedere consiglio. Costui rispose che l'unica via per placare le divinità del mare era sacrificare la loro amata figlia Andromeda. Con il cuore spezzato, i due incatenarono Andromeda a uno scoglio, sapendo che Balena l'avrebbe divorata.

Quando Balena cominciò ad avvicinarsi, la fanciulla gridò chiedendo aiuto. Perseo, che in groppa al cavallo alato Pegaso stava facendo ritorno a casa portando con sé la testa di Medusa (vedi leggenda di Perseo), udì quelle grida e immediatamente volò a salvarla. Arrivò appena in tempo per sollevare la testa di Medusa di fronte a Balena, ormai vicina. Il mostro marino restò immobilizzato, perché chiunque guardasse direttamente il volto di Medusa veniva trasformato in pietra. Perseo ripose con cura la testa nel sacco, facendo attenzione che Andromeda non la guardasse, e liberò la fanciulla, che si rifugiò tra le sue braccia. Nell'istante in cui si guardarono negli occhi, si innamorarono perdutamente.

Sebbene il dio del mare fosse in collera per il mancato compimento della punizione stabilita, si lasciò commuovere da quell'amore, tanto che collocò Perseo e Andromeda l'uno vicino all'altra nel cielo, perché noi sulla Terra potessimo avere quel sentimento eternamente negli occhi e nel cuore.

Tuttavia Poseidone capì che Cassiopea meritava in qualche modo una lezione. Per questo la collocò nel cielo in una posizione che la condannava a girare in eterno attorno al polo celeste, per metà del tempo a testa in giù.

 

 

CHIOMA DI BERENICE

Berenice era una bella donna dotata di splendidi capelli. Aveva sposato il re egizio Evergete. Quando il re partì per una pericolosa missione, la regina fece voto di sacrificare la propria chioma alla dea della bellezza se il marito fosse tornato illeso. Egli tornò, sano e salvo, e Berenice rinunciò ai bellissimi capelli, che Zeus volle porre tra le stelle. Appare come un ammasso dalla luce debole e dall'aspetto filamentoso, collocato nelle vicinanze di Arturo (in Boote) e di Cor Caroli (nei Canes Venatici). La Chioma di Berenice è diventata il simbolo del sacrificio che tutti dovrebbero essere pronti a compiere per amore dei propri cari.

 

CIGNO

Il Cigno simboleggia la bellezza, la bontà e la dedizione della vera amicizia, qualità e sentimenti rappresentati anche dalla costellazione dei Gemelli. Cigno e Fetonte erano molto amici. Fetonte, figlio della mortale Climene, chiese a suo padre Elio, il dio del Sole, di aiutarlo a convincere gli uomini che egli fosse davvero figlio di un dio. Elio fu d'accordo e disse a Fetonte che avrebbe esaudito qualunque suo desiderio. Questi, senza esitare, gli chiese il permesso di poter guidare il carro, trainato da quattro cavalli alati, che portava il Sole nel cielo. Il padre lo supplicò di non domandargli proprio quella cosa, poiché condurre i cavalli alati era un'impresa quasi impossibile, ma Fetonte insistette affinché mantenesse la promessa. All'approssimarsi dell'alba montò con grande eccitazione sul carro e cominciò la sua corsa nel cielo. I grandi cavalli alati percepirono la sua inesperienza nel controllo delle redini, e presero una tale velocità che Fetonte perse completamente la guida del carro, il quale oscillò al punto da far quasi precipitare il Sole sulla Terra. Il dio Zeus vide quello che stava accadendo, e per evitare che la Terra finisse bruciata dal calore del Sole scagliò un fulmine contro il carro. Fetonte perse l'equilibrio e cadde nel ruggente fiume Eridano. Cigno vide l'amico scomparire sott'acqua e subito, senza pensare al pericolo, si tuffò per salvarlo. Elio fu così conquistato da questa dimostrazione di affetto nei confronti del figlio che trasformò l'amico in un cigno che vola sulla Via Lattea, a simboleggiare la grandezza e l'importanza della vera amicizia.

 

 

COPPA

La Coppa è vicina alla costellazione del Corvo. Gli Egizi la conoscevano molto bene: sapevano che quando saliva sopra l'orizzonte il fiume Nilo, che aveva allagato le pianure circostanti, avrebbe smesso di avanzare e avrebbe cominciato presto a recedere.

 

CORONA BOREALE

Gli indiani del Nordamerica vedono in questa costellazione un consiglio di capi seduti in semicerchio a discutere della loro gente.

Nell'antica Grecia nacque la storia di Arianna, la bella figlia del re di Creta Minosse. Quando il suo innamorato, un mortale, scoprì che era stata promessa in sposa a un dio, la lasciò sull'isola di Nasso. Bacco, il dio della vegetazione e del vino, la vide, se ne innamorò e le chiese di sposarlo. Arianna però non credeva che Bacco fosse un dio. Per provarlo, egli chiese ad Afrodite, la dea dell'amore, di disegnare una corona di meravigliose pietre da offrire alla fanciulla come dono di nozze. Quando Afrodite acconsentì alla richiesta, Arianna si convinse e accettò il matrimonio. Bacco, ebbro di gioia, lanciò la corona nel cielo, dove rimase per sempre a emanare il proprio fulgore.

 

CORVO

Corvo apparteneva ad Apollo, il dio del Sole e della musica. Era un magnifico uccello dalla voce melodiosa. Un giorno Apollo gli assegnò un compito, raccomandandogli di tornare al più presto, e Corvo partì subito per la propria missione. Sulla via del ritorno vide un fico con i frutti ancora acerbi. Ne ebbe un desiderio così forte che rimase per parecchi giorni accanto all'albero ad aspettare che i fichi maturassero per poterli mangiare. Poi tornò in fretta e furia da Apollo.  Quando gli venne chiesto come mai avesse impiegato tanto tempo, Corvo inventò una scusa, ma Apollo sapeva che stava mentendo. Fu molto deluso dal fatto che il fidato Corvo non fosse abbastanza onesto da raccontargli la verità, e per punizione trasformò il suo bel canto in un suono sgradevole e gracchiante.

La prossima volta che vedrete un corvo pensate a questa costellazione e alla ragione per cui Apollo punì l'animale.

 

DELFINO

Circa 2600 anni fa, sull'isola di Lesbo, viveva un uomo di nome Arione. Era un famoso poeta, dotato anche di una magnifica voce, che viaggiava per esibirsi in Grecia e in Italia. Una volta, per tornare alla sua casa di Corinto, in Grecia, viaggiò per mare portando con sé i premi molto preziosi che aveva ricevuto. Quando i marinai capirono il valore di quegli oggetti furono vinti dall'avidità e decisero di derubare Arione e gettarlo in mare. Compreso quanto stavano tramando alle sue spalle, Arione li supplicò di lasciarlo cantare un'ultima volta suonando la lira. I marinai acconsentirono ed egli intonò una bella canzone di riconoscenza ad Apollo, il dio della musica e della poesia, che l'aveva dotato del suo meraviglioso talento. Apollo sentì e capì subito che cosa stava accadendo. Chiese al dio del mare Poseidone di mandare i suoi messaggeri, i delfini, a circondare la barca. Appena Arione cominciò a cantare notò l'insolito numero di delfini che improvvisamente si erano affollati attorno all'imbarcazione. Saltò in mare con la sua lira prima che i marinai avessero la possibilità di afferrarlo. Mentre sprofondava il delfino più grosso si tuffò sotto di lui e lo sollevò in superficie; poi, circondato dagli altri delfini, si allontanò velocemente portando in salvo Arione. Quando Apollo seppe della magnifica impresa del delfino volle rendergli onore. Per questo lo collocò nel cielo e lì accanto mise la lira di Arione nell'omonima costellazione.

 

DRAGO

Gli antichi Caldei, che vivevano nella regione dei fiumi Tigri ed Eufrate, credevano che prima della separazione del mare dal cielo esistesse un mostruoso signore del caos, dell'oscurità e del male: un drago chiamato Tiamat. Sfidato dalla luce del Sole e dagli dei che emersero dal mare del caos, Tiamat si dimostrò tanto potente e spaventoso che anch'essi dovettero arrendersi. Il male sembrava destinato a vincere, finché apparve Marduk, un dio della luce. Era dotato di tutti i poteri magici che gli dei e le dee della luce potessero possedere e grazie alla sua forza ebbe la meglio sul drago: la luce vinse sul buio e il bene sul male. Tiamat venne collocato nel cielo e con il nome di Drago ricorda a dei e uomini che la bontà può vincere.

 

 

ERCOLE

Ercole, figlio di Zeus e della bella mortale Alcmena, fu il più grande degli antichi eroi greci. Che fosse forte oltre misura fu evidente fin da bambino, ma, quel che più conta, dimostrò presto di avere anche doti di carattere. Incontrò infatti due donne, Piacere e Virtù, che gli promisero l'una divertimento, l'altra duro lavoro insieme alla gloria di compiere grandi cose per l'umanità. Egli scelse Virtù e venne istruito dal saggio centauro Chirone. Tra le sue varie imprese, liberò il mondo dai mostri: lottò per trenta giorni contro il leone Nemeo, prima di riuscire a ucciderlo, ed ebbe la meglio sull'enorme serpente d'acqua a nove teste, l'Idra di Lerna, che catturava e divorava coloro che si avvicinavano alla sua palude. Alla fine scagliò il mostro nel cielo, dove è rappresentato dalla costellazione dell'Idra. Lottando con il serpente d'acqua, uccise anche il granchio gigante, che ora ha una collocazione tra le stelle con il nome di Cancro. Catturò il cinghiale che stava distruggendo le vigne e il toro che devastava i campi lanciando fiamme dalle narici.

Ercole non si fermò finché non ebbe compiuto le dodici fatiche. Parecchi anni dopo venne avvelenato per errore con il sangue di un centauro. Quando morì, gli dei lo portarono in cielo, dove risplende come simbolo di coraggio e dedizione nei confronti del prossimo.

 

 

ERIDANO

Il fiume Eridano scorre dalla sua sorgente vicino a Rigel di Orione sotto il Toro in direzione della Balena. Vedi la leggenda del Cigno.

 

FRECCIA

Questa piccola costellazione, vicina all'Aquila, ricorda la freccia magica che Ercole usò per uccidere Aquila, il rapace di Zeus, che infliggeva a Prometeo il suo martirio. Vedi la leggenda dell'Aquila.

 

GEMELLI

Tra i Maori della Nuova Zelanda è diffusa una leggenda che racconta di due gemelli mortali, figli di Bora Bora. I fratelli erano estremamente devoti l'uno all'altro e preferivano giocare tra loro piuttosto che con gli altri bambini. Questo relativo isolamento non piaceva ai loro genitori, che decisero di separarli. I gemelli ascoltarono di nascosto la discussione dei genitori e decisero di fuggire. Si allontanarono su una barca, ma la madre li inseguì. Passarono di isola in isola con la donna sempre dietro di loro, finché arrivarono a Tahiti e lì si nascosero tra le montagne. La madre scoprì il nascondiglio, ed era sul punto di raggiungerli quando i gemelli, dopo essersi arrampicati sulla cima di una montagna, spiccarono il volo nel cielo e lì rimasero uniti per sempre.

Nell'antica Grecia nacque la leggenda di Castore, celebre soldato e domatore di cavalli, e Polluce, campione di lotta, entrambi figli del dio Zeus. Non erano soltanto fratelli, ma anche intimi amici ed entrambi molto avventurosi.

A un certo punto decisero di prendere il mare per attaccare i pirati che andavano depredando i marinai onesti. Ebbero un tale successo nelle loro imprese contro i pirati che per gli uomini di mare divennero guerrieri eroici, onorati da immagini scolpite sulla prua delle navi. I marinai sanno che durante le tempeste possono apparire delle scintille sul cordame della nave: se ne compaiono due è segno che Castore e Polluce stanno proteggendo l'imbarcazione e che essa reggerà alla tempesta. Queste luci vengono chiamate fuochi di sant'Elmo.

Durante uno scontro con dei ladri, Castore, che era mortale, rimase ucciso. Polluce, immortale, sconvolto dal dolore, pregò Zeus di poter stare a giorni alterni con Castore negli inferi. Zeus fu così commosso da questa richiesta e dal profondo affetto di Polluce per il fratello che non solo acconsentì, ma li collocò anche l'uno vicino all'altro nel cielo, così che la Terra potesse sempre ricordare il valore della vera amicizia.

 

 

IDRA

L'Idra era un mostro con l'aspetto di un serpente d'acqua a nove teste, che uccideva e divorava tutti coloro che si avvicinavano alla palude di Lerna. Il suo sangue era velenoso. Incaricato di ucciderla, Ercole si impegnò nel combattimento, ma quando riusciva a tagliarle una delle teste, questa subito ricresceva. Finalmente, bruciando la superficie decapitata, riuscì a evitare che le teste germogliassero nuovamente e uccise il mostro.

 

 

LEONE

Il Leone viveva sulla Luna, dove il cibo era così scarso che un giorno decise di attaccare uno dei cavalli che trainavano il carro di Selene, la dea della Luna. Venne spinto fuori dal carro e cadde sulla Terra, nei pressi di Nemea, in Grecia, dove cominciò ad aggredire gli uomini. Ercole, convocato perché distruggesse questa fiera famelica, fabbricò un'enorme clava nodosa e si avvicinò alla caverna della belva. Quando questa attaccò egli fece oscillare la mazza e la colpì in pieno naso. La belva si ritirò nella caverna, ma l'intrepido Ercole era determinato ad annientarla e la seguì all'interno. La volta della caverna era così bassa che Ercole, impossibilitato a usare la clava, dovette saltare in groppa al mostro per poi strangolarlo a mani nude.

Questa eroica impresa venne vista da Zeus, che volle rendere onore a Ercole collocando nel cielo il leone vinto (vedi la leggenda di Ercole).

 

LIRA

Tra i Maori la stella più brillante della Lira viene denominata Whanui e simboleggia la leggenda di un triangolo amoroso. Una notte Whanui incontrò Pani, la bella moglie di Rango-Maui. Whanui fu tanto sconvolto dalla sua bellezza che, pur sapendo di compiere una cattiva azione, sedusse Pani e fece l'amore con lei. Da Pani in seguito nacquero le patate dolci. Suo marito Rango-Maui odiava tanto la loro presenza che Pani gli permise di mandare le patate dolci sulla Terra. Whanui andò su tutte le furie e, per vendetta, spedì sulla Terra tre diversi tipi di bruco che si nutrivano di patate dolci. Di conseguenza, prima che Whanui, la stella più luminosa della Lira, appaia in cielo all'alba, gli uomini della Terra depositano le patate dolci nel suolo per evitare che i bruchi le mangino.

Tale costellazione rappresenta la lira, un'arpa ideata dal dio greco Ermes, che la ricavò da un guscio di tartaruga. Lo strumento aveva un'eccellente risonanza, ma Ermes non riusciva a ricavarne note melodiose e quindi la diede a suo fratello Apollo. Questi riuscì a ottenere una melodia, ma, per quanto ci provasse, non era in grado di rendere quelle note veramente toccanti. Chiamò allora Orfeo, un grande musico, perché provasse lo strumento. Non appena Orfeo sollevò l'arpa e mosse le dita sulle corde la Terra sembrò ammutolire. Ogni creatura si fermò ad ascoltare: gli animali, gli uccelli, gli alberi e persino i fiori si girarono a guardare Orfeo. Quando Apollo vide l'effetto che la musica poteva produrre su tutti gli esseri viventi diede la lira a Orfeo, che l'avrebbe suonata per gli uomini, perché potessero averne l'animo sollevato nei momenti di difficoltà.

Certe volte, quando la notte è molto scura e silenziosa, sollevando lo sguardo verso la Lira si può cogliere il mormorio del canto di Orfeo.

 

ORIONE

All'estremità settentrionale dell'Australia, nella Terra di Arnhem, gli aborigeni di Yolngu raccontano la storia di tre famosi pescatori appartenenti al totem del pesce luna, che trascorsero diversi giorni in mare cercando di catturare pesci. La pesca ebbe successo, ma presero solo dei pesci luna, che non potevano mangiare in quanto animali sacri della loro tribù. Erano preda di un terribile dilemma perché i loro bambini non avrebbero avuto di che sfamarsi se fossero tornati a mani vuote. Disperati, decisero di infrangere il tabù che vietava loro di mangiare quella carne. Ricominciarono a pescare e presero altri tre pesci luna. Il Sole, stupito e adirato che avessero deciso di uccidere e mangiare il loro totem, chiamò a raccolta le nubi, il mare e il vento per creare una gigantesca tromba d'acqua, tanto potente da far vorticare i tre pescatori alti nel cielo. Ancora oggi si possono vedere seduti nelle loro canoe: sono le tre stelle in fila della costellazione di Orione. Se si osserva attentamente, proprio sotto le tre stelle si possono scorgere i piccoli pesci appesi alle imbarcazioni.

Tra i Ju/Wasi dell'Africa è diffusa la leggenda del dio Old/Gao che, a caccia di zebre, riuscì alla fine a scorgerne tre in fila. Prese la mira e scagliò la freccia, ma mancò il bersaglio. Le tre zebre fuggirono e oggi si possono riconoscere nelle tre stelle centrali di Orione. Si vede anche la freccia nel luogo in cui cadde: proprio sotto le tre zebre, rivolta in un'altra direzione.

Nella mitologia greca si racconta di Irieo, un contadino di Tebe, uomo buono che spesso accoglieva i forestieri nonostante fosse molto povero. Un giorno egli aiutò tre insoliti sconosciuti, senza sapere che si trattava di Zeus, Ermes e Poseidone. Per ricompensare la sua generosità gli dei gli concessero di esprimere un desiderio. Irieo, che non aveva figli, chiese di poterne avere uno. Il desiderio venne esaudito e nacque Orione. Il bambino crebbe e divenne un superbo cacciatore perché era protetto dagli dei, ma via via che cresceva in abilità e fama diventò anche insensibile alla sorte delle sue prede. In effetti si divertiva a uccidere gli animali. Non cacciava per necessità. Si dimostrava tanto sprezzante della vita delle bestie che Artemide, la dea della caccia, mandò un gigantesco scorpione ad attaccarlo. La puntura dello scorpione lo condusse vicino alla morte, ma il guaritore Serpentario gli somministrò un antidoto che riuscì a salvarlo. Tornato in salute, Orione capì, dopo essere stato così vicino alla morte, quanto preziosa fosse la vita e quanto spietato e insensibile fosse stato nei confronti degli animali. Si pentì e per questo venne collocato nel cielo accanto allo Scorpione, da cui aveva appreso il valore della vita in ogni sua forma. Vedi anche la leggenda del Sagittario.

 

 

ORSA MAGGIORE

Un primo mito legato alla costellazione ha per sfondo i rapporti burrascosi fra Zeus e il padre Crono. Ogni anno quest'ultimo inghiottiva i figli partoriti dalla moglie Rea, perché sapeva che da uno di loro sarebbe derivata la fine del suo regno. Un giorno Rea, non più in grado di sopportare il comportamento del divino consorte, invece di darli in pasto Zeus neonato gli consegnò una pietra avvolta in fasce. Il piccolo frattanto venne nascosto in una grotta sull'isola di Creta, dove si presero cura di lui, a seconda delle tradizioni, queste o quelle ninfe. Crono da parte sua, scoperto l'inganno della moglie, diede la caccia all'infante, ma il futuro sovrano degli dei riuscì a far perdere le sue tracce, anche grazie a un gruppo di sacerdoti-guerrieri che battevano sul terreno le proprie lance per impedire a Crono di sentire i vagiti del bambino. Divenuto adulto,  Zeus pose in cielo quelle che in questa versione del mito erano state le due nutrici: Elice divenne L'Orsa Maggiore e Cinosaura L'Orsa Minore.

Un altro mito identifica l'Orsa Maggiore con la bella Callisto, figlia del re Licaone di Arcadia. Secondo una variante era invece la figlia di Ceteo (figlio dello stesso Licaone), collegato in questo caso alla vicina costellazione di Ercole, in ginocchio nell'atto di supplicare gli dei di restituire alla figlia la sua natura umana. La fanciulla infatti (nominata anche come Elice, il che la ricollega al mito precedente) era un'ancella del seguito di Artemide, dea della caccia, rapita e messa incinta da Zeus. Poiché le ancelle di Artemide dovevano rimanere illibate come la dea di cui erano al servizio, quando quest'ultima si accorse di quanto era accaduto trasformò Callisto in un'orsa. La leggenda narra che il segreto trapelò quando Artemide, come di consuetudine, fece il bagno in un ruscello con tutto il suo seguito. Secondo una variante del mito Callisto fu trasformata in un'orsa dall'amante Zeus, o ancora da Era, per la consueta gelosia. Anche il figlio Arcade, frutto della relazione con Zeus, sarebbe stato trasformato in un orso e portato in cielo dal padre con una tromba d'aria, per salvarlo insieme con la madre dalle persecuzioni di Era.

I romani denominarono le sette stelle dell'Orsa Maggiore i 'septem Triones', ovvero i 'sette buoi' (da cui il nome settentrione per indicare il punto cardinale nord), perché, con il loro incedere maestoso e regolare intorno al polo celeste ricordavano i buoi durante l'aratura.

 

 

PEGASO

Pegaso, il magico cavallo alato dell'antica mitologia greca, era stato generato da Poseidone e Medusa. Venne cavalcato da Perseo quando questi attraversò il cielo per salvare la bella Andromeda (vedi la leggenda di Cassiopea). E fu Pegaso a correre nel vento conducendo l'eroe Bellerofonte attraverso le sue avventure.

Bellerofonte era figlio di Corinto e nipote di Sisifo. Sisifo era un uomo egoista e arrogante che sfruttava le persone ingenue. Per questo motivo venne punito dagli dei e condannato a spingere un grosso masso su per il fianco di una collina; ogniqualvolta raggiungeva la sommità, il masso scivolava e tornava alla base per tutto il resto della sua vita.

Bellerofonte era stato ingiustamente accusato di aver commesso un'azione empia. Per questo venne mandato a compiere missioni molto pericolose, che egli portò a termine con l'aiuto di Pegaso. Gli venne pertanto concesso di tenere con se il cavallo.

Invecchiando, Bellerofonte divenne arrogante come suo nonno e troppo orgoglioso di possedere un cavallo magico che poteva cavalcare fino alla dimora degli dei. Sebbene fosse un mortale cercò di costringere Pegaso a  portarlo sulla cima del Monte Olimpo per potersi confondere con gli dei. Sconcertato da tanta arroganza, Pegaso si impennò e disarcionò Bellerofonte, che cadde sulla Terra mentre il cavallo tornava agli dei.

Ogni volta che la guardiamo, la costellazione di Pegaso dovrebbe ricordarci che la gentilezza e le buone azioni vengono sempre ricompensate, mentre l'arroganza e l'egoismo portano al fallimento e alla distruzione.

 

PERSEO

Il re Acrisio di Argo, in Grecia, aveva saputo da un oracolo che un giorno sarebbe stato ucciso dal nipote. Per evitarlo fece imprigionare la figlia Danae, così che nessuno potesse avvicinarla. Zeus, però, la vide e se ne innamorò. La prigione per lui non fu certo un ostacolo. Quando la fanciulla diede alla luce Perseo, il re li mise in una cassa e li spinse al largo sul mare. La cassa non affondò, anzi, finì per approdare intatta sull'isola di Serifo, governata dal re Polidecte. Perseo crebbe e divenne un giovane avventuroso e bramoso di gloria. Il re Polidecte si innamorò di Danae e capì che la devozione della donna per il figlio avrebbe interferito con le sue mire. Per questo incaricò Perseo di portargli la testa di Medusa. Un tempo Medusa era stata una bella donna, ma così orgogliosa della propria bellezza da finire trasformata in Gorgone, mostro alato con serpenti al posto dei capelli e squame di drago sulla pelle. Chiunque la guardasse veniva tramutato in pietra.

Per portare a termine la missione, Perseo aveva bisogno di aiuto. Costrinse tre ninfe a indicargli la via per trovare le Gorgoni e a dargli quello che gli occorreva per avere successo nell'impresa: un paio di sandali alati che gli consentivano di volare; un copricapo magico con cui poteva vedere senza essere visto; e, cosa più importante, un lucidissimo scudo preparatogli dalla dea Atena.

Dopo avere viaggiato a lungo finalmente trovò le tre Gorgoni. Erano addormentate. Le avvicinò camminando all'indietro e usando lo scudo come specchio per non dover guardare in viso Medusa. Poi le tagliò la testa con una spada affilata, dono di Ermes, e la mise nella borsa. Immediatamente dopo la morte di Medusa, Pegaso, il cavallo alato, fuoriuscì dal suo corpo.

Perseo saltò in groppa a Pegaso e volarono verso casa. In Etiopia Perseo udì le urla di Andromeda che stava per essere attaccata da Balena, il mostro del mare. Si girò a guardare e vide la bella Andromeda incatenata a una enorme roccia. Leggete come la salvò nella leggenda di Cassiopea.

Perseo e Andromeda si sposarono e vissero felici, eccetto per uno spiacevole incidente. Partecipando a una gara di lancio del disco, Perseo colpì accidentalmente uno dei presenti e lo uccise. Era suo nonno, il re Acrisio: così si compiva la profezia dell'oracolo. La tragedia amareggiò Perseo al punto che rinunciò al regno che aveva ereditato.

 

 

PLEIADI

Le Pleiadi sono le sette figlie di Atlante e di Pleione. Si racconta che Orione, il cacciatore, avesse tentato di rapire Pleione mentre passeggiava con le figlie. Fortunatamente riuscirono a fuggire, ma ancora oggi, quando le Pleiadi si muovono nel cielo, Orione le segue a poca distanza.

Tra gli aborigeni dell'Australia centrale si racconta la leggenda di sette sorelle smaniose di mangiare certi fichi selvatici che non si potevano trovare nel mondo celeste, ma solo sulla Terra. Per questo decisero di scendere nel mondo. Una volta arrivate, furono così intimorite dall'ambiente sconosciuto che si nascosero in una caverna. Non sapevano che Nirunja della costellazione di Orione, desideroso di possederle, le aveva viste lasciare la dimora celeste seguendole di nascosto fino alla Terra. Vedendole rifugiarsi nella caverna, decise di aspettare la notte per coglierle nel sonno. Si camuffò con delle foglie di fico e lentamente strisciò verso le bellezze dormienti. Si era appena accomodato tra le sorelle quando queste si svegliarono e lottando riuscirono a raggiungere il fondo della caverna, da cui scapparono attraverso una piccola fenditura della roccia. Poi volarono verso la loro casa nel cielo. Nirunja, infuriato, corse fuori dalla caverna, si arrampicò sulla cima della montagna e si gettò all'inseguimento. Era quasi riuscito a prenderle quando il Toro, che vive tra le sette sorelle e la casa di Nirunja in Orione, si svegliò dal suo sonno e lo affrontò, minacciandolo con le sue gigantesche corna. Nirunja rimase lì a fissare il Toro, comprendendo che non sarebbe mai riuscito a passare oltre, e frustrato fece ritorno alla sua casa tra le tre stelle di Orione.

I Maori della Nuova Zelanda denominano le Pleiadi Matariki, termiche che significa <piccoli occhi>, con riferimento a una donna. Essi vedono Matariki e le sue sei figlie nelle sette stelle della costellazione. Quando le Pleiadi appaiono prima dell'alba significa che un nuovo anno sta per iniziare: le sette donne vengono salutate con canti di speranza per il tempo futuro e di nostalgia per il tempo passato. E' il periodo in cui si compiono celebrazioni e si offrono a Matariki i germogli delle patate dolci, perché lei e le sue sei figlie sorveglino e proteggano il raccolto.

I Masai dell'Afica orientale chiamano le Pleiadi le <stelle della pioggia>, mentre gli Zulu del Sudafrica le chiamano <stelle scavatrici>, perché appaiono all'inizio della stagione delle piogge, quando è tempo di arare il terreno.

 

SAGITTARIO

Il Sagittario appartiene alla stirpe dei centauri: per metà uomini, per metà cavalli, queste creature possiedono l'intelligenza degli uni e la forza degli altri.

Secondo gli antichi Greci il re dei centauri era Chirone, il più buono e più saggio tra tutti. Fu maestro di Ercole; di Esculapio, padre della medicina; di Achille e di Giasone, che andò alla ricerca del vello d'oro. A lui si deve la disposizione delle stelle nell'ordine che oggi vediamo.

Durante uno dei suoi viaggi Ercole ebbe modo di prestare aiuto a Folo, il figlio di Chirone, che si trovava in pericolo. Chirone gliene fu molto grato e per questo collocò nella costellazione del Sagittario un centauro, abilissimo arciere, destinato a sorvegliare Ercole e a proteggerlo dallo Scorpione.

Se si osserva il cielo di notte, quando Orione scende a ovest, si nota che lo Scorpione sale a est come se stesse seguendo il cacciatore. Ma il Sagittario, l'arciere, segue lo scorpione che una volta aveva attaccato Ercole, pronto ad aggredirlo se dovesse nuovamente minacciarlo.

 

SCORPIONE

I Polinesiani di Tahiti raccontano la storia del ragazzo Pipiru e di sua sorella Rehua. La madre, donna dura e irascibile, andò a pesca per procurare la cena alla famiglia. Non era ancora notte tarda che prese pesce sufficiente per tutti quanti, e quando fece ritorno a casa trovò il marito e i figli già addormentati. Erano andati a letto senza mangiare. La donna svegliò il marito e cucinò un'ottima cena. L'uomo suggerì di chiamare anche i bambini, che erano molto affamati, ma la donna rifiutò nonostante le insistenze del marito e mise da parte le porzioni dei figli per il giorno seguente. Pipiru e Rehua furono svegliati dalle voci dei genitori, e soffrirono molto nel comprendere che alla madre importava così poco della loro fame. Decisero di fuggire. Quando i genitori si addormentarono scivolarono fuori di casa e corsero finché raggiunsero un'alta collina. Si arrampicarono sulla cima e poi caddero a terra, esausti. Piangevano a dirotto per aver lasciato la loro casa, ma erano decisi a non metterci più piede. Le loro lacrime formarono una piccola pozza. Nel frattempo, poco prima del sorgere del sole, la madre si svegliò, vide i lettini bagnati di lacrime e subito chiamò il marito per andare a cercarli. Scorse le loro tracce, appena visibili nella fioca luce dell'alba, e insieme seguirono le piccole impronte e le scie di lacrime finché raggiunsero la sommità della collina, dove le orme finivano. Si stavano guardando attorno, perplessi perché i bambini non si vedevano da nessuna parte, quando il padre sollevò lo sguardo e vide Pipiru e Tehua salire verso le stelle. Decisero di seguirli. Vedendo i genitori così vicini, Pipiru chiese a un gigantesco cervo volante di aiutarli a fuggire. Quello prese i bambini sul dorso e a velocità impressionante volò verso le stelle, dove ancora oggi i piccoli si scorgono nelle due luminose stelle della coda dello Scorpione. Il gigantesco cervo volante tornò nella sua casa di Antares, la luminosa stella nel corpo dello Scorpione. Nel Pacifico meridionale, quando i genitori sono sleali o troppo duri, i bambini intonano il canto di Pipiru e Rehua. Vedi anche la leggenda di Orione.

 

SERPENTARIO

I Babilonesi ritenevano che le stelle del Serpentario e del Serpente ritraessero il dio del Sole Marduk nella sua lotta contro il drago Tiamat (costellazione del Drago). Più avanti nella mitologia greca, il Serpentario venne identificato con Esculapio, il dio della medicina.

Esculapio era il figlio di Apollo e della principessa tesalica Coronide, morta dando alla luce il bambino. Da ragazzo egli assunse un aspetto così radioso che tutti compresero la sua discendenza divina. Chirone, il più saggio dei centauri, gli insegnò l'arte della medicina. Un giorno Esculapio osservò un serpente che portava in bocca un'erba e poi la usava per riportare in vita un altro serpente. Egli allora prese quell'erba e con essa ampliò le proprie conoscenze mediche.

Esculapio stava diventando tanto sapiente che Zeus ebbe timore che potesse apprendere anche come sconfiggere la morte. Per evitarlo, decise che questi dovesse morire. Così lo annientò con un fulmine, ma poi lo collocò tra le stelle, nella costellazione del Serpentario. Da allora Esculapio e il serpente sono simboli di guarigione. Ippocrate, sul cui nome tutti i medici giurano rispetto per il malato, viene tradizionalmente ritenuto un discendente di Esculapio.

L'attuale simbolo della medicina, il caduceo, ricorda questa leggenda. E' un bastone alato con due serpenti che vi si attorcigliano, simile a quello del dio Ermes.

 

TORO

Il Toro è un idolo antico. Era adorato dai Sumeri come <Toro della luce> e dagli egiziani come Api, ed era il vitello d'oro dei tempi biblici. E' il simbolo della primavera, il tempo dell'aratura e della semina, ma è anche il simbolo dell'amore, che in quella stagione sembra fiorire con particolare intensità.

Secondo una leggenda greca, Zeus si innamorò della bella principessa Europa, la figlia di re Agenore. Europa stava giocando sulla spiaggia quando Zeus, osservandola, notò che la fanciulla si era fermata sulla riva del mare e aveva espresso il desiderio di poter andare oltre l'orizzonte. Incantato dalla sua bellezza, egli si trasformò in un magnifico toro bianco. Si avvicinò a lei e abbassò la testa. Europa capì immediatamente che il toro le stava offrendo l'opportunità di realizzare il proprio desiderio. Guardando quegli occhi supplichevoli, si sentì inondata d'amore e decise di montare sul dorso dell'animale. Zeus sotto forma di toro, si tuffò in mare e a grande velocità nuotò oltre l'orizzonte, fino all'isola di Creta. Lì riprese le proprie sembianze e disse alla principessa che l'amava e che era un dio immortale. Sopraffatta dall'intensità e dalla sincerità di quell'amore, la principessa lo accettò come amante. La costellazione del Toro è il simbolo di questa storia d'amore.

Essa comprende l'ammasso stellare delle Iadi, che prendono il nome dalla nutrice di Dionisio, il figlio di Zeus.

Le Pleiadi, altro ammasso appartenente alla costellazione del Toro, erano le sette figlie di Pleione e di Atlante.

 

 

VERGINE

La Vergine simboleggia la dea della Terra e della fertilità. Rappresenta anche il tempo della mietitura.

Nell'antica Babilonia si raccontava di un tempo in cui la Terra era avvolta dall'oscurità. Le piante non crescevano e gli animali non si riproducevano. Era il tempo in cui Ishtar, la divinità caldea della Terra e della fertilità, aveva varcato le sette porte dell'oltretomba per cercare suo marito Tammuz, che era stato ucciso da un cinghiale e portato nell'aldilà. Appena Ishtar aveva oltrepassato la prima porta, la Terra si era Rabbuiata. Quando giunse a destinazione, la regina degli Inferi rifiutò di consegnarle il marito. Allora gli dei della Terra le inviarono un messaggio, ingiungendole di rilasciare Tammus se non voleva essere distrutta. Tammuz e Ishtar vennero spruzzati con acqua magica e liberati. Attraversarono le sette porte dell'oltretomba e fecero ritorno sulla Terra: come vi misero piede giunse la primavera, i fiori sbocciarono e il Sole riscaldò il mondo.

 

VIA LATTEA

Si diceva che la Via Lattea fosse il sentiero verso la casa di Zeus. Il mito vuole che rappresenti anche il percorso di Fetonte nella sua folle corsa sul carro del Sole.

I cinesi e i giapponesi la vedevano come un fiume d'argento celeste.

Le popolazioni scandinave credevano che venisse percorsa dalle anime dei defunti sulla via del Valhalla. Per gli antichi gallesi rappresentava la strada d'argento diretta al castello del re delle fate, Caer Groyden.

Gli indiani algonchini la consideravano come la via degli spiriti dei morti diretti ai loro villaggi nel Sole. Il cammino è segnato dalle stelle, fuochi da campo che mostrano agli spiriti la giusta direzione.

I Boscimani del deserto del Kalahari, in Africa centrale, parlano del tempo in cui un famoso cacciatore si perse nella boscaglia. Cercò per giorno, invano, di ritrovare la strada verso il villaggio. Una notte, demoralizzato e stanco, si mise a riposare sulla sponda di un fiume e pregò i suoi dei di aiutarlo. Ore dopo, guardando il cielo, si accorse che un fiume di stelle brillanti sembrava indicare una precisa direzione. Si alzò subito, seguì quella scia luminosa e finalmente raggiunse il villaggio. Sua moglie, comprendendo che si era smarrito, stava gettando tizzoni infuocati nel cielo per formare il sentiero che l'aveva condotto sano e salvo a casa.

I Dogon dell'Africa avevano una leggenda simile, secondo il quale il dio Amma gettò zolle di terra in cielo e creò così la Via Lattea.

Per alcuni popoli delle Ande, la Via Lattea era il fiume che gli spiriti dei morti percorrevano periodicamente quando desideravano tornare nel mondo e perpetuare la comunicazione con i vivi.

Tra gli indigeni australiani la cultura popolare tramanda un racconto sulla Via Lattea. Una donna sposata si era innamorata di un uomo che non era suo marito. Quando consumò il tradimento cercò di nascondere la relazione mentendo al marito per proteggere se stessa e il suo amante, ma l'uomo capì la verità. Le ordinò quindi di preparare un grande falò. Quando fu molto alto, la afferrò e la gettò tra le fiamme, ma la vide subito volare via nel cielo dove ancora oggi è visibile come una macchia nera nel fiume di stelle della Via Lattea.

I Polinesiani parlano anche di Tane, il figlio di Rangi (dio della foresta, della bellezza, delle fate, e simboleggiante il cielo e la luce). Rangi e la Terra erano abbracciati quando Tane li separò ponendo il cielo sopra di essa, così che in mezzo a loro ci fosse la luce. Poi gettò un cesto di stelle nel cielo per formare la Via Lattea. Alcuni credono che la Via Lattea sia il corpo di Rangi.

Tra i Polinesiani vi è chi definisce la Via Lattea <l'acqua della vita>. Si racconta di un magnifico squalo blu che si nutriva di uomini. Era un animale prediletto dagli dei. Quando due giovani decisero di ucciderlo, gli dei intervennero e lo portarono in cielo, dove nuota nel suo fiume, la Via Lattea.

 


a cura di Pio Passalacqua  piopas@tin.it
Gruppo Astrofili Palermo 


I miti delle costellazioni  di G. Vanin
 

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