MITI E LEGGENDE DEL CIELO
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Quando avveniva un'eclisse, i cinesi
pensavano che
il Sole stesse per essere divorato da un enorme drago.
Il popolo faceva quanto più rumore
possibile
per farlo fuggire di spavento. E ci
riuscivano sempre!
  
ACQUARIO
La leggenda
dell'Acquario ha per protagonista il portatore d'acqua Ganimede,
pastorello così buono e gentile che gli venne donata dell'ambrosia,
il cibo degli dei, per renderlo immortale. Un giorno, mentre
custodiva le pecore giocando con il cane Argo, il dio Zeus inviò
Aquila, il suo gigantesco rapace, sulle pianure di Troia perché lo
conducesse al tempio degli dei. Ganimede diventò il suo portatore
d'acqua prediletto, e sul dorso di Aquila lo accompagnava ovunque
andasse. La bontà di Ganimede si manifestò ancor più chiaramente
agli dei quando chiese a Zeus di poter soccorrere la gente della
Terra, bisognosa di acqua. Il dio, solitamente non molto generoso,
si lasciò commuovere dal suo spirito compassionevole e gli diede il
permesso di fare ciò che desiderava. Ganimede si rese conto che
rovesciare in un sol colpo una grande quantità di acqua sulla Terra
sarebbe stato pericoloso, e decise di farla cadere sotto forma di
pioggia. Ecco perché Ganimede, il pastorello, è conosciuto come il
dio della pioggia.

ANDROMEDA
Vedi Cassiopea e
Perseo.
AQUILA
Aquila
apparteneva a Zeus, E' protagonista non solo della leggenda
dell'Acquario (in cui Ganimede donò la pioggia alla Terra), ma anche
della leggenda di Prometeo (nella quale gli uomini ottennero il
fuoco).
I Titani erano
divinità giganti che combattevano il dio greco di Olimpia, Zeus, il
nuovo signore del mondo. Uno di loro, Prometeo, non si oppose a Zeus
nel corso della guerra. Dopo la sconfitta dei Titani egli divenne un
consigliere di Zeus, e mentre era al suo servizio scoprì che gli
uomini non conoscevano il fuoco e non potevano difendersi dal
freddo, né mangiare cibo caldo. Dispiaciuto per loro, decise di
rubare un raggio di Sole, nascondendolo in un cesto di bambù e
inviandolo sulla Terra. Da questo raggio di Sole gli uomini
ottennero il fuoco e poterono riscaldarsi.
Zeus andò su
tutte le furie quando scoprì che agli uomini era stato donato il
fuoco senza il suo permesso. Incatenò Prometeo a un monte del
Caucaso, condannandolo a restarvi per sempre e a subire i ripetuti
attacchi di Aquila. Dopo ogni attacco la ferita guariva, e in
seguito le carni venivano nuovamente dilaniate dal rapace. Un
giorno, mentre Aquila stava per aggredire il buon Titano in catene,
Ercole, che si era compiaciuto del gesto di generosità di Prometeo,
ed era ostile a Zeus per la punizione che gli aveva inflitto,
scagliò ad Aquila una delle sue frecce magiche. Aquila rimase
gravemente ferita. Zeus la curò e la collocò nel cielo perché
potesse ancora volare. Oggi Aquila volteggia in prossimità della
coda del Cigno.
ARIETE
Ariete era il
montone di Zeus, signore dei cieli. Il suo vello non era di lana
bianca bensì di morbido oro. Un giorno Zeus stava osservando
dall'alto gli uomini della Terra quando si accorse che due bambini
erano in pericolo di vita. Immediatamente mandò Ariete perché li
salvasse, e il montone arrivò appena in tempo per caricare sul dorso
i bambini e condurli in salvo. Per rendere onore all'impresa di
Ariete, Zeus lo collocò nel cielo, dove può pascolare liberamente
accanto a Pegaso, il cavallo alato.
Altra simbologia
correlata è quella dell'ariete impigliato tra i rami nel luogo in
cui Abramo stava per compiere il sacrificio di Isacco. In segno di
gratitudine a Dio che mandò l'angelo a fermare la mano di Abramo,
l'ariete fu posto sull'altare e sacrificato a gloria del Signore.
AURIGA
Auriga viene
rappresentato come il protettore dei pastori, che tiene una capretta
tra le braccia mentre attraversa il cielo sul proprio carro. I
pastori di tutto il mondo sanno che quando la costellazione
dell'Auriga è visibile in cielo la pioggia è vicina, l'erba crescerà
rigogliosa e le pecore avranno di che cibarsi.
Si dice che Zeus
avesse rotto per sbaglio il corno di una capra. Per farsi perdonare
riempì il corno rotto di ogni bene: è quello che viene chiamato
<corno dell'abbondanza> o cornucopia.
BALENA
Vedi Perseo e
Cassiopea.
BILANCIA
La Bilancia
simboleggia Astrea, la dea della giustizia. Ella poneva sulla
bilancia le anime degli uomini e delle donne e li giudicava per le
loro azioni. I Sumeri, nel 2000 a.C., la chiamavano Bilancia del
cielo.
BOOTE
Boote era il
figlio di Demetra, la dea greca dell'agricoltura. Era un giovane
intelligente, determinato e consapevole dei propri doveri verso il
prossimo. Quando vide che gli uomini della Terra faticavano a
procurarsi il cibo volle aiutarli. Capì che se si fosse limitato a
procurar loro di che nutrirsi, gli uomini avrebbero sempre avuto
bisogno del suo aiuto. Decise quindi di dar loro la possibilità di
provvedere a se stessi, di rendersi indipendenti. A questo scopo
costruì il primo aratro e lo inviò sulla Terra. Da allora gli uomini
poterono arare i campi, coltivarli e nutrirsi dei frutti del proprio
lavoro. Per questo nobile gesto nei confronti dell'umanità gli dei
vollero rendergli onore collocandolo nel cielo vicino al Grande
Carro (detto anche Aratro).
CANE MAGGIORE E
MINORE
Il Cane Maggiore
e il Cane Minore erano i cani da caccia di Orione. Il Cane Maggiore
era un corridore così veloce da poter raggiungere qualsiasi preda, e
per questo era grandemente apprezzato da Orione.
Gli antichi
Egizi riconoscevano nella luminosa stella Sirio del Cane Maggiore il
dio Anubi, che aveva corpo d'uomo e testa di sciacallo. Quando Sirio
appariva nel cielo prima dell'alba era il tempo dell'inondazione del
Nilo, evento importante per i contadini perché il limo rendeva il
terreno più fertile. Sirio venne denominata Stella del Cane, e
i giorni caldi dell'estate, tra luglio e i primi di settembre,
appartengono appunto al periodo di canicola.
CASSIOPEA
Cassiopea, la
moglie del re Cefeo, era la bella regina D'Etiopia. Il suo orgoglio
sconfinava nell'arroganza e spesso si vantava di essere bella quanto
le ninfe del mare, le Nereidi. Costoro, figlie del dio del mare
Nereo, si indispettirono, non perché fossero anch'esse vanitose, ma
perché Cassiopea dimostrava di non capire che la bellezza esteriore
era un dono per il quale non poteva vantare alcun merito. Avrebbe
potuto manifestare riconoscenza per la propria fortuna, ma certo non
inorgoglirsi per qualcosa che non si era in nessun modo conquistata,
dimostrando così di avere scarso discernimento.
Le Nereidi
chiesero al dio che in quel momento governava sul mare, Poseidone (o
Nettuno), di punire Cassiopea per la sua distorta concezione dei
valori e per la sua presunzione. Egli ordinò a Balena, gigantesco
mostro marino, di distruggere il regno D'Etiopia.
Quando il re
Cefeo e la regina Cassiopea furono informati della decisione di
Poseidone si recarono dal vecchio e saggio oracolo d'Etiopia a
chiedere consiglio. Costui rispose che l'unica via per placare le
divinità del mare era sacrificare la loro amata figlia Andromeda.
Con il cuore spezzato, i due incatenarono Andromeda a uno scoglio,
sapendo che Balena l'avrebbe divorata.
Quando Balena
cominciò ad avvicinarsi, la fanciulla gridò chiedendo aiuto. Perseo,
che in groppa al cavallo alato Pegaso stava facendo ritorno a casa
portando con sé la testa di Medusa (vedi leggenda di Perseo), udì
quelle grida e immediatamente volò a salvarla. Arrivò appena in
tempo per sollevare la testa di Medusa di fronte a Balena, ormai
vicina. Il mostro marino restò immobilizzato, perché chiunque
guardasse direttamente il volto di Medusa veniva trasformato in
pietra. Perseo ripose con cura la testa nel sacco, facendo
attenzione che Andromeda non la guardasse, e liberò la fanciulla,
che si rifugiò tra le sue braccia. Nell'istante in cui si guardarono
negli occhi, si innamorarono perdutamente.
Sebbene il dio
del mare fosse in collera per il mancato compimento della punizione
stabilita, si lasciò commuovere da quell'amore, tanto che collocò
Perseo e Andromeda l'uno vicino all'altra nel cielo, perché noi
sulla Terra potessimo avere quel sentimento eternamente negli occhi
e nel cuore.
Tuttavia
Poseidone capì che Cassiopea meritava in qualche modo una lezione.
Per questo la collocò nel cielo in una posizione che la condannava a
girare in eterno attorno al polo celeste, per metà del tempo a testa
in giù.

CHIOMA DI
BERENICE
Berenice era una
bella donna dotata di splendidi capelli. Aveva sposato il re egizio
Evergete. Quando il re partì per una pericolosa missione, la regina
fece voto di sacrificare la propria chioma alla dea della bellezza
se il marito fosse tornato illeso. Egli tornò, sano e salvo, e
Berenice rinunciò ai bellissimi capelli, che Zeus volle porre tra le
stelle. Appare come un ammasso dalla luce debole e dall'aspetto
filamentoso, collocato nelle vicinanze di Arturo (in Boote) e di Cor
Caroli (nei Canes Venatici). La Chioma di Berenice è diventata il
simbolo del sacrificio che tutti dovrebbero essere pronti a compiere
per amore dei propri cari.
CIGNO
Il Cigno
simboleggia la bellezza, la bontà e la dedizione della vera
amicizia, qualità e sentimenti rappresentati anche dalla
costellazione dei Gemelli. Cigno e Fetonte erano molto amici.
Fetonte, figlio della mortale Climene, chiese a suo padre Elio, il
dio del Sole, di aiutarlo a convincere gli uomini che egli fosse
davvero figlio di un dio. Elio fu d'accordo e disse a Fetonte che
avrebbe esaudito qualunque suo desiderio. Questi, senza esitare, gli
chiese il permesso di poter guidare il carro, trainato da quattro
cavalli alati, che portava il Sole nel cielo. Il padre lo supplicò
di non domandargli proprio quella cosa, poiché condurre i cavalli
alati era un'impresa quasi impossibile, ma Fetonte insistette
affinché mantenesse la promessa. All'approssimarsi dell'alba montò
con grande eccitazione sul carro e cominciò la sua corsa nel cielo.
I grandi cavalli alati percepirono la sua inesperienza nel controllo
delle redini, e presero una tale velocità che Fetonte perse
completamente la guida del carro, il quale oscillò al punto da far
quasi precipitare il Sole sulla Terra. Il dio Zeus vide quello che
stava accadendo, e per evitare che la Terra finisse bruciata dal
calore del Sole scagliò un fulmine contro il carro. Fetonte perse
l'equilibrio e cadde nel ruggente fiume Eridano. Cigno vide l'amico
scomparire sott'acqua e subito, senza pensare al pericolo, si tuffò
per salvarlo. Elio fu così conquistato da questa dimostrazione di
affetto nei confronti del figlio che trasformò l'amico in un cigno
che vola sulla Via Lattea, a simboleggiare la grandezza e
l'importanza della vera amicizia.

COPPA
La Coppa è
vicina alla costellazione del Corvo. Gli Egizi la conoscevano molto
bene: sapevano che quando saliva sopra l'orizzonte il fiume Nilo,
che aveva allagato le pianure circostanti, avrebbe smesso di
avanzare e avrebbe cominciato presto a recedere.
CORONA BOREALE
Gli indiani del
Nordamerica vedono in questa costellazione un consiglio di capi
seduti in semicerchio a discutere della loro gente.
Nell'antica
Grecia nacque la storia di Arianna, la bella figlia del re di Creta
Minosse. Quando il suo innamorato, un mortale, scoprì che era stata
promessa in sposa a un dio, la lasciò sull'isola di Nasso. Bacco, il
dio della vegetazione e del vino, la vide, se ne innamorò e le
chiese di sposarlo. Arianna però non credeva che Bacco fosse un dio.
Per provarlo, egli chiese ad Afrodite, la dea dell'amore, di
disegnare una corona di meravigliose pietre da offrire alla
fanciulla come dono di nozze. Quando Afrodite acconsentì alla
richiesta, Arianna si convinse e accettò il matrimonio. Bacco, ebbro
di gioia, lanciò la corona nel cielo, dove rimase per sempre a
emanare il proprio fulgore.
CORVO
Corvo
apparteneva ad Apollo, il dio del Sole e della musica. Era un
magnifico uccello dalla voce melodiosa. Un giorno Apollo gli assegnò
un compito, raccomandandogli di tornare al più presto, e Corvo partì
subito per la propria missione. Sulla via del ritorno vide un fico
con i frutti ancora acerbi. Ne ebbe un desiderio così forte che
rimase per parecchi giorni accanto all'albero ad aspettare che i
fichi maturassero per poterli mangiare. Poi tornò in fretta e furia
da Apollo. Quando gli venne chiesto come mai avesse impiegato
tanto tempo, Corvo inventò una scusa, ma Apollo sapeva che stava
mentendo. Fu molto deluso dal fatto che il fidato Corvo non fosse
abbastanza onesto da raccontargli la verità, e per punizione
trasformò il suo bel canto in un suono sgradevole e gracchiante.
La prossima
volta che vedrete un corvo pensate a questa costellazione e alla
ragione per cui Apollo punì l'animale.
DELFINO
Circa 2600 anni
fa, sull'isola di Lesbo, viveva un uomo di nome Arione. Era un
famoso poeta, dotato anche di una magnifica voce, che viaggiava per
esibirsi in Grecia e in Italia. Una volta, per tornare alla sua casa
di Corinto, in Grecia, viaggiò per mare portando con sé i premi
molto preziosi che aveva ricevuto. Quando i marinai capirono il
valore di quegli oggetti furono vinti dall'avidità e decisero di
derubare Arione e gettarlo in mare. Compreso quanto stavano tramando
alle sue spalle, Arione li supplicò di lasciarlo cantare un'ultima
volta suonando la lira. I marinai acconsentirono ed egli intonò una
bella canzone di riconoscenza ad Apollo, il dio della musica e della
poesia, che l'aveva dotato del suo meraviglioso talento. Apollo
sentì e capì subito che cosa stava accadendo. Chiese al dio del mare
Poseidone di mandare i suoi messaggeri, i delfini, a circondare la
barca. Appena Arione cominciò a cantare notò l'insolito numero di
delfini che improvvisamente si erano affollati attorno
all'imbarcazione. Saltò in mare con la sua lira prima che i marinai
avessero la possibilità di afferrarlo. Mentre sprofondava il delfino
più grosso si tuffò sotto di lui e lo sollevò in superficie; poi,
circondato dagli altri delfini, si allontanò velocemente portando in
salvo Arione. Quando Apollo seppe della magnifica impresa del
delfino volle rendergli onore. Per questo lo collocò nel cielo e lì
accanto mise la lira di Arione nell'omonima costellazione.
DRAGO
Gli antichi
Caldei, che vivevano nella regione dei fiumi Tigri ed Eufrate,
credevano che prima della separazione del mare dal cielo esistesse
un mostruoso signore del caos, dell'oscurità e del male: un drago
chiamato Tiamat. Sfidato dalla luce del Sole e dagli dei che
emersero dal mare del caos, Tiamat si dimostrò tanto potente e
spaventoso che anch'essi dovettero arrendersi. Il male sembrava
destinato a vincere, finché apparve Marduk, un dio della luce. Era
dotato di tutti i poteri magici che gli dei e le dee della luce
potessero possedere e grazie alla sua forza ebbe la meglio sul
drago: la luce vinse sul buio e il bene sul male. Tiamat venne
collocato nel cielo e con il nome di Drago ricorda a dei e uomini
che la bontà può vincere.

ERCOLE
Ercole, figlio
di Zeus e della bella mortale Alcmena, fu il più grande degli
antichi eroi greci. Che fosse forte oltre misura fu evidente fin da
bambino, ma, quel che più conta, dimostrò presto di avere anche doti
di carattere. Incontrò infatti due donne, Piacere e Virtù, che gli
promisero l'una divertimento, l'altra duro lavoro insieme alla
gloria di compiere grandi cose per l'umanità. Egli scelse Virtù e
venne istruito dal saggio centauro Chirone. Tra le sue varie
imprese, liberò il mondo dai mostri: lottò per trenta giorni contro
il leone Nemeo, prima di riuscire a ucciderlo, ed ebbe la meglio
sull'enorme serpente d'acqua a nove teste, l'Idra di Lerna, che
catturava e divorava coloro che si avvicinavano alla sua palude.
Alla fine scagliò il mostro nel cielo, dove è rappresentato dalla
costellazione dell'Idra. Lottando con il serpente d'acqua, uccise
anche il granchio gigante, che ora ha una collocazione tra le stelle
con il nome di Cancro. Catturò il cinghiale che stava distruggendo
le vigne e il toro che devastava i campi lanciando fiamme dalle
narici.
Ercole non si
fermò finché non ebbe compiuto le dodici fatiche. Parecchi anni dopo
venne avvelenato per errore con il sangue di un centauro. Quando
morì, gli dei lo portarono in cielo, dove risplende come simbolo di
coraggio e dedizione nei confronti del prossimo.

ERIDANO
Il fiume Eridano
scorre dalla sua sorgente vicino a Rigel di Orione sotto il Toro in
direzione della Balena. Vedi la leggenda del Cigno.
FRECCIA
Questa piccola
costellazione, vicina all'Aquila, ricorda la freccia magica che
Ercole usò per uccidere Aquila, il rapace di Zeus, che infliggeva a
Prometeo il suo martirio. Vedi la leggenda dell'Aquila.
GEMELLI
Tra i Maori
della Nuova Zelanda è diffusa una leggenda che racconta di due
gemelli mortali, figli di Bora Bora. I fratelli erano estremamente
devoti l'uno all'altro e preferivano giocare tra loro piuttosto che
con gli altri bambini. Questo relativo isolamento non piaceva ai
loro genitori, che decisero di separarli. I gemelli ascoltarono di
nascosto la discussione dei genitori e decisero di fuggire. Si
allontanarono su una barca, ma la madre li inseguì. Passarono di
isola in isola con la donna sempre dietro di loro, finché arrivarono
a Tahiti e lì si nascosero tra le montagne. La madre scoprì il
nascondiglio, ed era sul punto di raggiungerli quando i gemelli,
dopo essersi arrampicati sulla cima di una montagna, spiccarono il
volo nel cielo e lì rimasero uniti per sempre.
Nell'antica
Grecia nacque la leggenda di Castore, celebre soldato e domatore di
cavalli, e Polluce, campione di lotta, entrambi figli del dio Zeus.
Non erano soltanto fratelli, ma anche intimi amici ed entrambi molto
avventurosi.
A un certo punto
decisero di prendere il mare per attaccare i pirati che andavano
depredando i marinai onesti. Ebbero un tale successo nelle loro
imprese contro i pirati che per gli uomini di mare divennero
guerrieri eroici, onorati da immagini scolpite sulla prua delle
navi. I marinai sanno che durante le tempeste possono apparire delle
scintille sul cordame della nave: se ne compaiono due è segno che
Castore e Polluce stanno proteggendo l'imbarcazione e che essa
reggerà alla tempesta. Queste luci vengono chiamate fuochi di
sant'Elmo.
Durante uno
scontro con dei ladri, Castore, che era mortale, rimase ucciso.
Polluce, immortale, sconvolto dal dolore, pregò Zeus di poter stare
a giorni alterni con Castore negli inferi. Zeus fu così commosso da
questa richiesta e dal profondo affetto di Polluce per il fratello
che non solo acconsentì, ma li collocò anche l'uno vicino all'altro
nel cielo, così che la Terra potesse sempre ricordare il valore
della vera amicizia.

IDRA
L'Idra era un
mostro con l'aspetto di un serpente d'acqua a nove teste, che
uccideva e divorava tutti coloro che si avvicinavano alla palude di
Lerna. Il suo sangue era velenoso. Incaricato di ucciderla, Ercole
si impegnò nel combattimento, ma quando riusciva a tagliarle una
delle teste, questa subito ricresceva. Finalmente, bruciando la
superficie decapitata, riuscì a evitare che le teste germogliassero
nuovamente e uccise il mostro.

LEONE
Il Leone viveva
sulla Luna, dove il cibo era così scarso che un giorno decise di
attaccare uno dei cavalli che trainavano il carro di Selene, la dea
della Luna. Venne spinto fuori dal carro e cadde sulla Terra, nei
pressi di Nemea, in Grecia, dove cominciò ad aggredire gli uomini.
Ercole, convocato perché distruggesse questa fiera famelica,
fabbricò un'enorme clava nodosa e si avvicinò alla caverna della
belva. Quando questa attaccò egli fece oscillare la mazza e la colpì
in pieno naso. La belva si ritirò nella caverna, ma l'intrepido
Ercole era determinato ad annientarla e la seguì all'interno. La
volta della caverna era così bassa che Ercole, impossibilitato a
usare la clava, dovette saltare in groppa al mostro per poi
strangolarlo a mani nude.
Questa eroica
impresa venne vista da Zeus, che volle rendere onore a Ercole
collocando nel cielo il leone vinto (vedi la leggenda di Ercole).
LIRA
Tra i Maori la
stella più brillante della Lira viene denominata Whanui e
simboleggia la leggenda di un triangolo amoroso. Una notte Whanui
incontrò Pani, la bella moglie di Rango-Maui. Whanui fu tanto
sconvolto dalla sua bellezza che, pur sapendo di compiere una
cattiva azione, sedusse Pani e fece l'amore con lei. Da Pani in
seguito nacquero le patate dolci. Suo marito Rango-Maui odiava tanto
la loro presenza che Pani gli permise di mandare le patate dolci
sulla Terra. Whanui andò su tutte le furie e, per vendetta, spedì
sulla Terra tre diversi tipi di bruco che si nutrivano di patate
dolci. Di conseguenza, prima che Whanui, la stella più luminosa
della Lira, appaia in cielo all'alba, gli uomini della Terra
depositano le patate dolci nel suolo per evitare che i bruchi le
mangino.
Tale
costellazione rappresenta la lira, un'arpa ideata dal dio greco
Ermes, che la ricavò da un guscio di tartaruga. Lo strumento aveva
un'eccellente risonanza, ma Ermes non riusciva a ricavarne note
melodiose e quindi la diede a suo fratello Apollo. Questi riuscì a
ottenere una melodia, ma, per quanto ci provasse, non era in grado
di rendere quelle note veramente toccanti. Chiamò allora Orfeo, un
grande musico, perché provasse lo strumento. Non appena Orfeo
sollevò l'arpa e mosse le dita sulle corde la Terra sembrò
ammutolire. Ogni creatura si fermò ad ascoltare: gli animali, gli
uccelli, gli alberi e persino i fiori si girarono a guardare Orfeo.
Quando Apollo vide l'effetto che la musica poteva produrre su tutti
gli esseri viventi diede la lira a Orfeo, che l'avrebbe suonata per
gli uomini, perché potessero averne l'animo sollevato nei momenti di
difficoltà.
Certe volte,
quando la notte è molto scura e silenziosa, sollevando lo sguardo
verso la Lira si può cogliere il mormorio del canto di Orfeo.
ORIONE
All'estremità
settentrionale dell'Australia, nella Terra di Arnhem, gli aborigeni
di Yolngu raccontano la storia di tre famosi pescatori appartenenti
al totem del pesce luna, che trascorsero diversi giorni in mare
cercando di catturare pesci. La pesca ebbe successo, ma presero solo
dei pesci luna, che non potevano mangiare in quanto animali sacri
della loro tribù. Erano preda di un terribile dilemma perché i loro
bambini non avrebbero avuto di che sfamarsi se fossero tornati a
mani vuote. Disperati, decisero di infrangere il tabù che vietava
loro di mangiare quella carne. Ricominciarono a pescare e presero
altri tre pesci luna. Il Sole, stupito e adirato che avessero deciso
di uccidere e mangiare il loro totem, chiamò a raccolta le nubi, il
mare e il vento per creare una gigantesca tromba d'acqua, tanto
potente da far vorticare i tre pescatori alti nel cielo. Ancora oggi
si possono vedere seduti nelle loro canoe: sono le tre stelle in
fila della costellazione di Orione. Se si osserva attentamente,
proprio sotto le tre stelle si possono scorgere i piccoli pesci
appesi alle imbarcazioni.
Tra i Ju/Wasi
dell'Africa è diffusa la leggenda del dio Old/Gao che, a caccia di
zebre, riuscì alla fine a scorgerne tre in fila. Prese la mira e
scagliò la freccia, ma mancò il bersaglio. Le tre zebre fuggirono e
oggi si possono riconoscere nelle tre stelle centrali di Orione. Si
vede anche la freccia nel luogo in cui cadde: proprio sotto le tre
zebre, rivolta in un'altra direzione.
Nella mitologia
greca si racconta di Irieo, un contadino di Tebe, uomo buono che
spesso accoglieva i forestieri nonostante fosse molto povero. Un
giorno egli aiutò tre insoliti sconosciuti, senza sapere che si
trattava di Zeus, Ermes e Poseidone. Per ricompensare la sua
generosità gli dei gli concessero di esprimere un desiderio. Irieo,
che non aveva figli, chiese di poterne avere uno. Il desiderio venne
esaudito e nacque Orione. Il bambino crebbe e divenne un superbo
cacciatore perché era protetto dagli dei, ma via via che cresceva in
abilità e fama diventò anche insensibile alla sorte delle sue prede.
In effetti si divertiva a uccidere gli animali. Non cacciava per
necessità. Si dimostrava tanto sprezzante della vita delle bestie
che Artemide, la dea della caccia, mandò un gigantesco scorpione ad
attaccarlo. La puntura dello scorpione lo condusse vicino alla
morte, ma il guaritore Serpentario gli somministrò un antidoto che
riuscì a salvarlo. Tornato in salute, Orione capì, dopo essere stato
così vicino alla morte, quanto preziosa fosse la vita e quanto
spietato e insensibile fosse stato nei confronti degli animali. Si
pentì e per questo venne collocato nel cielo accanto allo Scorpione,
da cui aveva appreso il valore della vita in ogni sua forma. Vedi
anche la leggenda del Sagittario.

ORSA MAGGIORE
Un primo mito
legato alla costellazione ha per sfondo i rapporti burrascosi fra
Zeus e il padre Crono. Ogni anno quest'ultimo inghiottiva i figli
partoriti dalla moglie Rea, perché sapeva che da uno di loro sarebbe
derivata la fine del suo regno. Un giorno Rea, non più in grado di
sopportare il comportamento del divino consorte, invece di darli in
pasto Zeus neonato gli consegnò una pietra avvolta in fasce. Il
piccolo frattanto venne nascosto in una grotta sull'isola di Creta,
dove si presero cura di lui, a seconda delle tradizioni, queste o
quelle ninfe. Crono da parte sua, scoperto l'inganno della moglie,
diede la caccia all'infante, ma il futuro sovrano degli dei riuscì a
far perdere le sue tracce, anche grazie a un gruppo di
sacerdoti-guerrieri che battevano sul terreno le proprie lance per
impedire a Crono di sentire i vagiti del bambino. Divenuto adulto,
Zeus pose in cielo quelle che in questa versione del mito erano
state le due nutrici: Elice divenne L'Orsa Maggiore e Cinosaura
L'Orsa Minore.
Un altro mito
identifica l'Orsa Maggiore con la bella Callisto, figlia del re
Licaone di Arcadia. Secondo una variante era invece la figlia di
Ceteo (figlio dello stesso Licaone), collegato in questo caso alla
vicina costellazione di Ercole, in ginocchio nell'atto di supplicare
gli dei di restituire alla figlia la sua natura umana. La fanciulla
infatti (nominata anche come Elice, il che la ricollega al mito
precedente) era un'ancella del seguito di Artemide, dea della
caccia, rapita e messa incinta da Zeus. Poiché le ancelle di
Artemide dovevano rimanere illibate come la dea di cui erano al
servizio, quando quest'ultima si accorse di quanto era accaduto
trasformò Callisto in un'orsa. La leggenda narra che il segreto
trapelò quando Artemide, come di consuetudine, fece il bagno in un
ruscello con tutto il suo seguito. Secondo una variante del mito
Callisto fu trasformata in un'orsa dall'amante Zeus, o ancora da
Era, per la consueta gelosia. Anche il figlio Arcade, frutto della
relazione con Zeus, sarebbe stato trasformato in un orso e portato
in cielo dal padre con una tromba d'aria, per salvarlo insieme con
la madre dalle persecuzioni di Era.
I romani
denominarono le sette stelle dell'Orsa Maggiore i 'septem Triones',
ovvero i 'sette buoi' (da cui il nome settentrione per indicare il
punto cardinale nord), perché, con il loro incedere maestoso e
regolare intorno al polo celeste ricordavano i buoi durante
l'aratura.

PEGASO
Pegaso, il
magico cavallo alato dell'antica mitologia greca, era stato generato
da Poseidone e Medusa. Venne cavalcato da Perseo quando questi
attraversò il cielo per salvare la bella Andromeda (vedi la leggenda
di Cassiopea). E fu Pegaso a correre nel vento conducendo l'eroe
Bellerofonte attraverso le sue avventure.
Bellerofonte era
figlio di Corinto e nipote di Sisifo. Sisifo era un uomo egoista e
arrogante che sfruttava le persone ingenue. Per questo motivo venne
punito dagli dei e condannato a spingere un grosso masso su per il
fianco di una collina; ogniqualvolta raggiungeva la sommità, il
masso scivolava e tornava alla base per tutto il resto della sua
vita.
Bellerofonte era
stato ingiustamente accusato di aver commesso un'azione empia. Per
questo venne mandato a compiere missioni molto pericolose, che egli
portò a termine con l'aiuto di Pegaso. Gli venne pertanto concesso
di tenere con se il cavallo.
Invecchiando,
Bellerofonte divenne arrogante come suo nonno e troppo orgoglioso di
possedere un cavallo magico che poteva cavalcare fino alla dimora
degli dei. Sebbene fosse un mortale cercò di costringere Pegaso a
portarlo sulla cima del Monte Olimpo per potersi confondere con gli
dei. Sconcertato da tanta arroganza, Pegaso si impennò e disarcionò
Bellerofonte, che cadde sulla Terra mentre il cavallo tornava agli
dei.
Ogni volta che
la guardiamo, la costellazione di Pegaso dovrebbe ricordarci che la
gentilezza e le buone azioni vengono sempre ricompensate, mentre
l'arroganza e l'egoismo portano al fallimento e alla distruzione.
PERSEO
Il re Acrisio di
Argo, in Grecia, aveva saputo da un oracolo che un giorno sarebbe
stato ucciso dal nipote. Per evitarlo fece imprigionare la figlia Danae, così che nessuno potesse avvicinarla. Zeus, però, la vide e
se ne innamorò. La prigione per lui non fu certo un ostacolo. Quando
la fanciulla diede alla luce Perseo, il re li mise in una cassa e li
spinse al largo sul mare. La cassa non affondò, anzi, finì per
approdare intatta sull'isola di Serifo, governata dal re Polidecte.
Perseo crebbe e divenne un giovane avventuroso e bramoso di gloria.
Il re Polidecte si innamorò di Danae e capì che la devozione della
donna per il figlio avrebbe interferito con le sue mire. Per questo
incaricò Perseo di portargli la testa di Medusa. Un tempo Medusa era
stata una bella donna, ma così orgogliosa della propria bellezza da
finire trasformata in Gorgone, mostro alato con serpenti al posto
dei capelli e squame di drago sulla pelle. Chiunque la guardasse
veniva tramutato in pietra.
Per portare a
termine la missione, Perseo aveva bisogno di aiuto. Costrinse tre
ninfe a indicargli la via per trovare le Gorgoni e a dargli quello
che gli occorreva per avere successo nell'impresa: un paio di
sandali alati che gli consentivano di volare; un copricapo magico
con cui poteva vedere senza essere visto; e, cosa più importante, un
lucidissimo scudo preparatogli dalla dea Atena.
Dopo avere
viaggiato a lungo finalmente trovò le tre Gorgoni. Erano
addormentate. Le avvicinò camminando all'indietro e usando lo scudo
come specchio per non dover guardare in viso Medusa. Poi le tagliò
la testa con una spada affilata, dono di Ermes, e la mise nella
borsa. Immediatamente dopo la morte di Medusa, Pegaso, il cavallo
alato, fuoriuscì dal suo corpo.
Perseo saltò in
groppa a Pegaso e volarono verso casa. In Etiopia Perseo udì le urla
di Andromeda che stava per essere attaccata da Balena, il mostro del
mare. Si girò a guardare e vide la bella Andromeda incatenata a una
enorme roccia. Leggete come la salvò nella leggenda di Cassiopea.
Perseo e
Andromeda si sposarono e vissero felici, eccetto per uno spiacevole
incidente. Partecipando a una gara di lancio del disco, Perseo colpì
accidentalmente uno dei presenti e lo uccise. Era suo nonno, il re
Acrisio: così si compiva la profezia dell'oracolo. La tragedia
amareggiò Perseo al punto che rinunciò al regno che aveva ereditato.

PLEIADI
Le Pleiadi sono
le sette figlie di Atlante e di Pleione. Si racconta che Orione, il
cacciatore, avesse tentato di rapire Pleione mentre passeggiava con
le figlie. Fortunatamente riuscirono a fuggire, ma ancora oggi,
quando le Pleiadi si muovono nel cielo, Orione le segue a poca
distanza.
Tra gli
aborigeni dell'Australia centrale si racconta la leggenda di sette
sorelle smaniose di mangiare certi fichi selvatici che non si
potevano trovare nel mondo celeste, ma solo sulla Terra. Per questo
decisero di scendere nel mondo. Una volta arrivate, furono così
intimorite dall'ambiente sconosciuto che si nascosero in una
caverna. Non sapevano che Nirunja della costellazione di Orione,
desideroso di possederle, le aveva viste lasciare la dimora celeste
seguendole di nascosto fino alla Terra. Vedendole rifugiarsi nella
caverna, decise di aspettare la notte per coglierle nel sonno. Si
camuffò con delle foglie di fico e lentamente strisciò verso le
bellezze dormienti. Si era appena accomodato tra le sorelle quando
queste si svegliarono e lottando riuscirono a raggiungere il fondo
della caverna, da cui scapparono attraverso una piccola fenditura
della roccia. Poi volarono verso la loro casa nel cielo. Nirunja,
infuriato, corse fuori dalla caverna, si arrampicò sulla cima della
montagna e si gettò all'inseguimento. Era quasi riuscito a prenderle
quando il Toro, che vive tra le sette sorelle e la casa di Nirunja
in Orione, si svegliò dal suo sonno e lo affrontò, minacciandolo con
le sue gigantesche corna. Nirunja rimase lì a fissare il Toro,
comprendendo che non sarebbe mai riuscito a passare oltre, e
frustrato fece ritorno alla sua casa tra le tre stelle di Orione.
I Maori della
Nuova Zelanda denominano le Pleiadi Matariki, termiche che significa
<piccoli occhi>, con riferimento a una donna. Essi vedono Matariki e
le sue sei figlie nelle sette stelle della costellazione. Quando le
Pleiadi appaiono prima dell'alba significa che un nuovo anno sta per
iniziare: le sette donne vengono salutate con canti di speranza per
il tempo futuro e di nostalgia per il tempo passato. E' il periodo
in cui si compiono celebrazioni e si offrono a Matariki i germogli
delle patate dolci, perché lei e le sue sei figlie sorveglino e
proteggano il raccolto.
I Masai dell'Afica
orientale chiamano le Pleiadi le <stelle della pioggia>, mentre gli
Zulu del Sudafrica le chiamano <stelle scavatrici>, perché appaiono
all'inizio della stagione delle piogge, quando è tempo di arare il
terreno.
SAGITTARIO
Il Sagittario
appartiene alla stirpe dei centauri: per metà uomini, per metà
cavalli, queste creature possiedono l'intelligenza degli uni e la
forza degli altri.
Secondo gli
antichi Greci il re dei centauri era Chirone, il più buono e più
saggio tra tutti. Fu maestro di Ercole; di Esculapio, padre della
medicina; di Achille e di Giasone, che andò alla ricerca del vello
d'oro. A lui si deve la disposizione delle stelle nell'ordine che
oggi vediamo.
Durante uno dei
suoi viaggi Ercole ebbe modo di prestare aiuto a Folo, il figlio di
Chirone, che si trovava in pericolo. Chirone gliene fu molto grato e
per questo collocò nella costellazione del Sagittario un centauro,
abilissimo arciere, destinato a sorvegliare Ercole e a proteggerlo
dallo Scorpione.
Se si osserva il
cielo di notte, quando Orione scende a ovest, si nota che lo
Scorpione sale a est come se stesse seguendo il cacciatore. Ma il
Sagittario, l'arciere, segue lo scorpione che una volta aveva
attaccato Ercole, pronto ad aggredirlo se dovesse nuovamente
minacciarlo.
SCORPIONE
I Polinesiani di
Tahiti raccontano la storia del ragazzo Pipiru e di sua sorella
Rehua. La madre, donna dura e irascibile, andò a pesca per procurare
la cena alla famiglia. Non era ancora notte tarda che prese pesce
sufficiente per tutti quanti, e quando fece ritorno a casa trovò il
marito e i figli già addormentati. Erano andati a letto senza
mangiare. La donna svegliò il marito e cucinò un'ottima cena. L'uomo
suggerì di chiamare anche i bambini, che erano molto affamati, ma la
donna rifiutò nonostante le insistenze del marito e mise da parte le
porzioni dei figli per il giorno seguente. Pipiru e Rehua furono
svegliati dalle voci dei genitori, e soffrirono molto nel
comprendere che alla madre importava così poco della loro fame.
Decisero di fuggire. Quando i genitori si addormentarono scivolarono
fuori di casa e corsero finché raggiunsero un'alta collina. Si
arrampicarono sulla cima e poi caddero a terra, esausti. Piangevano
a dirotto per aver lasciato la loro casa, ma erano decisi a non
metterci più piede. Le loro lacrime formarono una piccola pozza. Nel
frattempo, poco prima del sorgere del sole, la madre si svegliò,
vide i lettini bagnati di lacrime e subito chiamò il marito per
andare a cercarli. Scorse le loro tracce, appena visibili nella
fioca luce dell'alba, e insieme seguirono le piccole impronte e le
scie di lacrime finché raggiunsero la sommità della collina, dove le
orme finivano. Si stavano guardando attorno, perplessi perché i
bambini non si vedevano da nessuna parte, quando il padre sollevò lo
sguardo e vide Pipiru e Tehua salire verso le stelle. Decisero di
seguirli. Vedendo i genitori così vicini, Pipiru chiese a un
gigantesco cervo volante di aiutarli a fuggire. Quello prese i
bambini sul dorso e a velocità impressionante volò verso le stelle,
dove ancora oggi i piccoli si scorgono nelle due luminose stelle
della coda dello Scorpione. Il gigantesco cervo volante tornò nella
sua casa di Antares, la luminosa stella nel corpo dello Scorpione.
Nel Pacifico meridionale, quando i genitori sono sleali o troppo
duri, i bambini intonano il canto di Pipiru e Rehua. Vedi anche la
leggenda di Orione.
SERPENTARIO
I Babilonesi
ritenevano che le stelle del Serpentario e del Serpente ritraessero
il dio del Sole Marduk nella sua lotta contro il drago Tiamat
(costellazione del Drago). Più avanti nella mitologia greca, il
Serpentario venne identificato con Esculapio, il dio della medicina.
Esculapio era il
figlio di Apollo e della principessa tesalica Coronide, morta dando
alla luce il bambino. Da ragazzo egli assunse un aspetto così
radioso che tutti compresero la sua discendenza divina. Chirone, il
più saggio dei centauri, gli insegnò l'arte della medicina. Un
giorno Esculapio osservò un serpente che portava in bocca un'erba e
poi la usava per riportare in vita un altro serpente. Egli allora
prese quell'erba e con essa ampliò le proprie conoscenze mediche.
Esculapio stava
diventando tanto sapiente che Zeus ebbe timore che potesse
apprendere anche come sconfiggere la morte. Per evitarlo, decise che
questi dovesse morire. Così lo annientò con un fulmine, ma poi lo
collocò tra le stelle, nella costellazione del Serpentario. Da
allora Esculapio e il serpente sono simboli di guarigione.
Ippocrate, sul cui nome tutti i medici giurano rispetto per il
malato, viene tradizionalmente ritenuto un discendente di Esculapio.
L'attuale
simbolo della medicina, il caduceo, ricorda questa leggenda. E' un
bastone alato con due serpenti che vi si attorcigliano, simile a
quello del dio Ermes.
TORO
Il Toro è un
idolo antico. Era adorato dai Sumeri come <Toro della luce> e dagli
egiziani come Api, ed era il vitello d'oro dei tempi biblici. E' il
simbolo della primavera, il tempo dell'aratura e della semina, ma è
anche il simbolo dell'amore, che in quella stagione sembra fiorire
con particolare intensità.
Secondo una
leggenda greca, Zeus si innamorò della bella principessa Europa, la
figlia di re Agenore. Europa stava giocando sulla spiaggia quando
Zeus, osservandola, notò che la fanciulla si era fermata sulla riva
del mare e aveva espresso il desiderio di poter andare oltre
l'orizzonte. Incantato dalla sua bellezza, egli si trasformò in un
magnifico toro bianco. Si avvicinò a lei e abbassò la testa. Europa
capì immediatamente che il toro le stava offrendo l'opportunità di
realizzare il proprio desiderio. Guardando quegli occhi
supplichevoli, si sentì inondata d'amore e decise di montare sul
dorso dell'animale. Zeus sotto forma di toro, si tuffò in mare e a
grande velocità nuotò oltre l'orizzonte, fino all'isola di Creta. Lì
riprese le proprie sembianze e disse alla principessa che l'amava e
che era un dio immortale. Sopraffatta dall'intensità e dalla
sincerità di quell'amore, la principessa lo accettò come amante. La
costellazione del Toro è il simbolo di questa storia d'amore.
Essa comprende
l'ammasso stellare delle Iadi, che prendono il nome dalla nutrice di
Dionisio, il figlio di Zeus.
Le Pleiadi,
altro ammasso appartenente alla costellazione del Toro, erano le
sette figlie di Pleione e di Atlante.

VERGINE
La Vergine
simboleggia la dea della Terra e della fertilità. Rappresenta anche
il tempo della mietitura.
Nell'antica
Babilonia si raccontava di un tempo in cui la Terra era avvolta
dall'oscurità. Le piante non crescevano e gli animali non si
riproducevano. Era il tempo in cui Ishtar, la divinità caldea della
Terra e della fertilità, aveva varcato le sette porte
dell'oltretomba per cercare suo marito Tammuz, che era stato ucciso
da un cinghiale e portato nell'aldilà. Appena Ishtar aveva
oltrepassato la prima porta, la Terra si era Rabbuiata. Quando
giunse a destinazione, la regina degli Inferi rifiutò di consegnarle
il marito. Allora gli dei della Terra le inviarono un messaggio,
ingiungendole di rilasciare Tammus se non voleva essere distrutta.
Tammuz e Ishtar vennero spruzzati con acqua magica e liberati.
Attraversarono le sette porte dell'oltretomba e fecero ritorno sulla
Terra: come vi misero piede giunse la primavera, i fiori sbocciarono
e il Sole riscaldò il mondo.
VIA LATTEA
Si diceva che la
Via Lattea fosse il sentiero verso la casa di Zeus. Il mito vuole
che rappresenti anche il percorso di Fetonte nella sua folle corsa
sul carro del Sole.
I cinesi e i
giapponesi la vedevano come un fiume d'argento celeste.
Le popolazioni
scandinave credevano che venisse percorsa dalle anime dei defunti
sulla via del Valhalla. Per gli antichi gallesi rappresentava la
strada d'argento diretta al castello del re delle fate, Caer Groyden.
Gli indiani
algonchini la consideravano come la via degli spiriti dei morti
diretti ai loro villaggi nel Sole. Il cammino è segnato dalle
stelle, fuochi da campo che mostrano agli spiriti la giusta
direzione.
I Boscimani del
deserto del Kalahari, in Africa centrale, parlano del tempo in cui
un famoso cacciatore si perse nella boscaglia. Cercò per giorno,
invano, di ritrovare la strada verso il villaggio. Una notte,
demoralizzato e stanco, si mise a riposare sulla sponda di un fiume
e pregò i suoi dei di aiutarlo. Ore dopo, guardando il cielo, si
accorse che un fiume di stelle brillanti sembrava indicare una
precisa direzione. Si alzò subito, seguì quella scia luminosa e
finalmente raggiunse il villaggio. Sua moglie, comprendendo che si
era smarrito, stava gettando tizzoni infuocati nel cielo per formare
il sentiero che l'aveva condotto sano e salvo a casa.
I Dogon
dell'Africa avevano una leggenda simile, secondo il quale il dio
Amma gettò zolle di terra in cielo e creò così la Via Lattea.
Per alcuni
popoli delle Ande, la Via Lattea era il fiume che gli spiriti dei
morti percorrevano periodicamente quando desideravano tornare nel
mondo e perpetuare la comunicazione con i vivi.
Tra gli indigeni
australiani la cultura popolare tramanda un racconto sulla Via
Lattea. Una donna sposata si era innamorata di un uomo che non era
suo marito. Quando consumò il tradimento cercò di nascondere la
relazione mentendo al marito per proteggere se stessa e il suo
amante, ma l'uomo capì la verità. Le ordinò quindi di preparare un
grande falò. Quando fu molto alto, la afferrò e la gettò tra le
fiamme, ma la vide subito volare via nel cielo dove ancora oggi è
visibile come una macchia nera nel fiume di stelle della Via Lattea.
I Polinesiani
parlano anche di Tane, il figlio di Rangi (dio della foresta, della
bellezza, delle fate, e simboleggiante il cielo e la luce). Rangi e
la Terra erano abbracciati quando Tane li separò ponendo il cielo
sopra di essa, così che in mezzo a loro ci fosse la luce. Poi gettò
un cesto di stelle nel cielo per formare la Via Lattea. Alcuni
credono che la Via Lattea sia il corpo di Rangi.
Tra i
Polinesiani vi è chi definisce la Via Lattea <l'acqua della vita>.
Si racconta di un magnifico squalo blu che si nutriva di uomini. Era
un animale prediletto dagli dei. Quando due giovani decisero di
ucciderlo, gli dei intervennero e lo portarono in cielo, dove nuota
nel suo fiume, la Via Lattea.
a cura di Pio Passalacqua piopas@tin.it
Gruppo Astrofili Palermo
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I miti delle
costellazioni
di G. Vanin

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