In una sera di mezza luna

 

La Luna al telescopio

 

aspetto telescopico della Luna al Primo QuartoSplende un bel quarto di Luna ancora alto nel violaceo cielo serotino che laggiù, in direzione dell'orizzonte occidentale, si sta infiammando di languenti bagliori porpurei. E noi abbiamo approfittato della tiepida serata, colma di sentori estivi, per spolverare il nostro modesto cannocchiale e trascinarlo all'aperto, sul suo bravo treppiede, in terrazzo. E' uno strumento modesto, è vero, poiché la sua vitrea pupilla possiede soltanto 80 millimetri di apertura per frugare nell'immensa profondità dei cieli, ma è dotato di un movimento orario che, non appena il sostegno sia stato orientato in modo corretto, ci consentirà d'inquadrare una volta per tutte l'argenteo disco lunare e di seguirlo a piacimento, con sole piccole correzioni manuali, fino a che, ormai a notte fonda, non sarà scomparso dietro l'orizzonte. In più abbiamo sottomano una mappa della Luna, forse un pò troppo schematica, ma in compenso chiara e leggibile; abbiamo una comoda poltrona, una torcia elettrica dalla luce discreta, tanto tempo a disposizione ed una grande voglia e curiosità di dedicarci, questa sera, al romantico astro di Diana.

Abbiamo scelto una serata di primo quarto poiché è l'epoca in cui il globo lunare ci mostra in pieno la sua irregolare linea di demarcazione fra l'emisfero illuminato e quello immerso nell'ombra, e la luce del Sole, radente sul suolo lunare, ne mette magnificamente in risalto ogni minimo rilievo, ogni più tenue corrugamento. Inseriamo nel cannocchiale un oculare a gran campo ed a piccolo ingrandimento, non oltre i 50-60 diametri per ora, e avviciniamo il nostro occhio ansioso di vedere...Quale spettacolo! il fedele compagno del nostro vecchio pianeta è lì, enorme macchia candita di luce completamente spalancata allo sguardo; giganteggia tutto intero ed occupa una grandissima parte del cielo con una prepotenza che ci sembra quasi straordinaria. Poi, con gradualità, cominciamo a raccapezzarci e notiamo, innanzi tutto, la curiosa proprietà degli strumenti astronomici a visione diretta che è quella di capovolgere le immagini. Infatti il gran dorso convesso del satellite appare inarcarsi verso oriente, e quelle macchie grigie che, ad occhio nudo, si susseguono nel quadrante nordoccidentale della mezza luna (dalla metà superiore fin quasi al lembo ovest) ora si allargano come pianure sconfinate nella parte bassa del campo ottico. Ma lo spettacolo superbo è dalla parte ove la regione illuminata va degradando verso il terminatore: colà lo splendore del suolo nelle vaste pianure lunari s'attenua insensibilmente fino a sfumare nell'oscurità più assoluta delle regioni notturne. Ma ecco che il regolare andamento della linea di demarcazione s'interrompe e si frammenta in un caos di configurazioni luminosissime, separate e tormentate da una miriade di ombre altrettanto crude in corrispondenza delle zone elevate. Orli circolari di crateri dal fondo sepolto nell'oscurità si susseguono in catene dall'apparenza caotica; crepacci e cime di rilievi affondano nell'ombra assoluta e si elevano nelle regioni dalla luce più viva fino a che, inoltrandosi vieppiù nell'emisfero notturno dell'astro, non rimangono che sporadici picchi isolati, solitari frammenti arcuati di crateri emergenti come relitti dispersi nel grande oceano d'ombra, vette luminose come fari scintillanti nella profonda notte lunare. Come orizzontarci fra tante meraviglie, fra tanto disordine morfologico, fra l'innumerevole messe di dettagli che attraverso la potenza, anche se modesta, dello strumento a nostra disposizione, vediamo tuttavia distendersi a perdita d'occhio, ciascuno racchiudente il proprio segreto d'origine, la storia delle crude vicissitudini che lo hanno plasmato durante i miliardi d'anni d'esposizione alle severe condizioni dello spazio? E' il momento opportuno di gettare uno sguardo alla nostra carta lunare così che, all'oscillante raggio della torcia elettrica, cerchiamo di cominciare ad identificare le configurazioni salienti.

 

Carta Lunare

 

 

 

Mappa della Luna disegnata da Thomas Harriot. Come Galileo, aveva tracciato i principali crateri.

 

Osservando i "mari" lunari

 

Prima di tutto dedichiamoci alle vaste pianure grigiastre che, all'epoca di Galileo e del Langreno, come sappiamo, vennero denominate "mari" ma che l'osservazione polarimetrica a terra, e i reperti delle sonde, hanno dimostrato costituiti da distese di basalto lavico effuso in superficie dai grandi sconvolgimenti del passato (impatto meteoritico, fessurazione del suolo in seguito a cedimenti in profondità, ecc.) L'area ovaleggiante che si apre in vicinanza delle regioni marginali occidentali, e che sulla carta è compresa fra i riquadri XI e XII, è il Mare delle Crisi. La sua superficie si estende per 170 000 km quadrati, appare quasi del tutto privo di crateri, salvo il Picard (33 km di diametro) e la sua tonalità pare cangiante, a seconda dell'illuminazione, fra il grigio verde e il grigio ferro. E' recinto quasi completamente da ripide scogliere che, ad est, isolano una specie di angusta laguna lasciando un piccolo varco attraverso due promontori affacciati: il Lavinium a sud e l'Olivium a nord. E' interessante ricordare che fu proprio fra queste due elevazioni che nel 1953 John J. O'Neill, un redattore scientifico dell'Herald Tribune, pretese di scorgere un ponte naturale gettato per duemila metri di lunghezza fra le opposte sponde. Il piccolo, ma profondo cratere di 2500 metri, che s'incava subito ad est e che, specialmente al plenilunio, sembra irradiare raggi luminosi fin entro il Mare delle Crisi, è Proclo. Al di sopra del Mare delle Crisi si estendono, in successione da sud ovest verso nord est, le ampie aree scure del Mare della Fecondità, del Mare della Tranquillità, del Mare della Serenità. Il primo compreso nei riquadri X e XI, possiede una forma piuttosto romboidale, è vasto 400 000 km quadrati e presenta un fondo variegato di tonalità e di corrugamenti. Appare circondato da una serie di crateri più vasti ad ovest: Petavius (150 km di diametro, caratteristico per il massiccio centrale e la profonda spaccatura laterale del fondo); Vendelinus (80 km di larghezza) dal recinto irregolare invaso da adiacenti craterizzazioni; Langrenus un pregevole esemplare di circo lunare, regolarissimo nei suoi 140 km di apertura, leggermente raggiato verso l'interno della pianura contigua, e dal cui centro si eleva a 1000 metri d'altezza un doppio picco montuoso. I molteplici crateri che bordano ad est il mare della Fecondità, sono di dimensioni più piccole e sono dedicati a Snellio, a Sautbech, a Cook, a Colombo, a Goclenio, a Vernet, ecc. In basso (a nord) la pianura basaltica è interrotta da una regione chiara ed irregolare nella quale si apre il cratere Taruntius (65 km di diametro) e che si prolunga verso sud con la catena dei Pirenei che dividono il mare della Fecondità dalla pianura scurissima del Mare del Nettare (80.000 kmq) cosparso di piccolissimi crateri e da crateri semisepolti fra i quali il più vasto è Fracastoro (100 km) dal recinto irregolarmente rotondeggiante, rovinato, che si apre come una baia sull'orlo meridionale della pianura desertica. Il cratere più piccolo, sottostante, è Beaumont (150 km). Passiamo ora alla vasta solitudine detta del Mare della Tranquillità che si estende su un'area di circa 400.000 kmq. Possiede margini frastagliati da crateri semisepolti: Torricelli (20 km) dal duplice recinto all'estremo sud e poi, ad est, la coppia Sabine-Ritter; Giulio Cesare che costituisce una specie di golfo dal fondo oscuro; dinanzi, scavato in pieno deserto, è Araco (25 km). Verso il limite settentrionale i crateri Plinio (50 km), Vitruvio (35 km) e Maraldi spalancano al sole le loro gole circolari. Ad ovest, in pieno deserto, si apre l'ovale di Maskelyne, un cratere regolare di 30 km di larghezza. Il Mare della Tranquillità è separato da quello delle Crisi dalla bruna e chiara Palude del Sonno i cui limiti, dalla parte del Mare delle Crisi sembrerebbero costituire il proseguimento naturale del Mare della Tranquillità. L'area successiva ovaleggiante, dal profilo abbastanza regolare e dal fondo grigio bruno intenso, costellato di alcuni piccoli crateri, è il Mare della Serenità, vasto bacino pianeggiante di 360.000 kmq attraversato da sud a nord da una striatura chiara che ha le sue origini nel lontano (e per ora invisibile) cratere Tycho. Lungo i suoi margini occidentali si aprono il circo Le Monnier, dal fondo molto scuro e dal recinto interrotto, e il grande cratere Posidonio, di 100 km di larghezza, dal fondo attraversato da una profonda fenditura e con gli orli dei bastioni considerevolmente craterizzati. A sud il Mare della Serenità è chiuso dalla terna di crateri Plinio, Vitruvio e Maraldi, che sono stati già menzionati, e dal profilo arcuato dei Monti Haemus svettanti fino a 2-2500 metri, i quali lo recingono ad est convergendo verso le maestose catene degli Appennini e del Caucaso.

 


La caratteristica triade di crateri (dall'alto in basso): Catharina (106 km), Cirillo (90 km) e Teofilo (102 km). La fotografia è stata ripresa con la Luna intorno ai 18 giorni d'età.

 

Con l'avvicinarsi ai margini settentrionali, le aree pianeggianti si fanno meno distinte ed è difficile separare con nettezza la porzione visibile del Mare del Freddo (striscia grigiastra che si diparte dal terminatore in direzione orizzontale) dalle sue propaggini meridionali designate col nome di Lago della Morte, il quale, da parte sua, è separato dal Lago dei Sogni grazie alla presenza dei crateri Plana (35 km) e Berg (45 km). Appena emergente dalla penombra del terminatore che la sfiora, s'intravede la modesta, scurissima area (35.000 kmq) del Mare dei Vapori (riquadro IV) che s'incunea fra i Monti Haemus e gli Appennini proprio al disopra del Mare della Serenità; il fondo, mosso da lievi ondulazioni sotto le quali s'indovinano alcuni crateri sepolti, presenta, ai confini meridionali, un vasto sistema di crepacci uno dei quali, profondo e dall'andamento angolato, attraversa il piccolo cratere di Hyginus (7 km). Nelle regioni marginali disposte lungo il lembo occidentale, sono poi percepibili le avvisaglie di alcune altre pianure che, per essere situate proprio sull'orizzonte, appaiono fortemente deformate dalla visione radente. Sono altri "mari" che penetrano nell'emisfero opposto della Luna e che appaiono e scompaiono sotto l'alterno effetto delle librazioni. A sud, nei riquadri XXIV - XXV è visibile una porzione del Mare Australe, costituita da varie chiazze oscure fra regioni luminose e fortemente craterizzate; nell'arco centrale del lembo (riquadri XI - XII) si affacciano le due lingue grigie ed oscure del Mare di Smith e del Mare del Margine separate dalla regione chiara intorno al cratere Nespero; infine ricordiamo il Mare di Humboldt che si allunga nei pressi dell'estrema punta settentrionale e mostra, proprio sul lembo lunare, i profili di alcuni rilievi notevoli.

 

Fra montagne e crateri

 

Ora che il nostro occhio ha preso a familiarizzare con gli aspetti morfologici del satellite, cominciamo a renderci conto che tutta l'enorme confusione infusa nello spirito nostro dalla prima visione dell'innumerevole quantità e tipologia di dettagli, in realtà è molto meno confusa. Notiamo intanto come la parte meridionale (quella in alto) della mezza luna appaia molto più luminosa e craterizzata di quella settentrionale, ove si estendono in prevalenza le vaste depressioni desertiche dei "mari". Il potere riflettente più elevato si riferisce a formazioni trachitiche, ove il suolo originario della Luna si mostra in rilievo, corrugato e tormentato dalle forze endogene primitive e dall'impatto distruttivo di innumerevoli bolidi. Queste regioni, definite altipiani possiedono un albedo che, pur variando da punto a punto, è circa il doppio di quello dei deserti pianeggianti e corrisponde al 9-10% della radiazione solare incidente. Nelle regioni continue al polo sud lunare il terreno appare scavato in modo impressionante: notiamo un'infinità di crateri dalla vasta apertura, con il fondo che presso il terminatore, si spalanca in buie gole d'abisso, recinti da bastioni scoscesi, tormentati, nei quali il crudo gioco delle ombre insondabili e delle luci vivissime rende manifesto che non c'è in pratica un'estensione pur piccola di terreno che sia stata risparmiata dal fenomeno di craterizzazione. In alcuni punti i crateri si mostrano addirittura sovrapposti l'un all'altro in raggruppamenti che sono nati unicamente dalla sequenza temporale degli impatti. Si è calcolato che i crateri fino a mezzo chilometro di diametro, solo sull'emisfero lunare rivolto alla Terra, siano in numero di 30.000. non possiamo è ovvio citarli tutti: notiamo i principali esemplari.

 


I grandi crateri Walter (150 km), Regiomontano (130 km), Purbach (120 km) che si allineano in una delle regioni più tormentate della Luna.

 

Ecco vicino al lembo meridionale (riquadro XXIII) i grandi recinti di Moreto e di Curzio che spalancano la loro grande voragine di 80 km d'ampiezza ancora immersa nell'ombra della lunga notte lunare. A sinistra di essi, deformati dalla maggiore vicinanza al lembo, si aprono Schoemberger e Simpelio: proprio all'orizzonte appare il profilo delle poderose catene dei Monti Leibnitz e Doerfel "i monti dall'eterna luce" svettanti fino agli 8.000-10.000 metri. Ma i circhi maggiori visibili in questa regione sono quelli dedicati a Magino (170 km di diametro del quale emerge in luce solo la sommità del possente recinto); a Maurolico (240 km); a Stoefler (240 km). Quest'ultimo è in parte invaso dal cratere Faraday; tutti quanti presentano le vaste depressioni interne bucherellate da innumerevoli craterini. Da notare la triade di crateri sovrapposti, e di larghezza e profondità decrescenti, denominati Nasirredin, Huggins ed Oronzio. Passiamo al riquadro XXIV. Il suolo lunare è investito più direttamente dalla luce, le ombre sono meno evidenti e i dettagli appaiono quindi meno pronunciati; però non sfuggono le depressioni ovaliformi dei tre grandi crateri disposti a triangolo Vlacq, Hommel e Pitisco. Più ad ovest, e più in luce, si apre la grande voragine di Jionssen (180 km) il cui recinto settentrionale appare distrutto dal cratere Fabricio il quale, a sua volta, è seguito dal cratere Mezio. Nel riquadro X è da notare la serie formata da Furnerio (150 km). Petavio e Vendelino dei quali abbiamo già parlato. Fra il Mare della Fecondità e quello del Nettare si allunga la catena dei Pirenei il cui picco più elevato raggiunge i 4000 metri d'altezza. Il maggior cratere fiancheggiato da questo rilievo è dedicato a Colombo (80 km). Dal confine orientale del Mare del Nettare si diparte la triade di crateri dedicati a Teofilo (110 km), Cirillo (90 km) e Catharina (90 km), i primi due parzialmente sovrapposti, il terzo più distaccato. Immediatamente a sud del già citato Fracastoro si apre il cratere Piccolomini (90 km); fra esso e il cratere Catharina si allunga la possente catena dei Monti Altai mostrante in luce i ripidi declivi occidentali dall'andamento leggermente arcuato. La lunghezza totale dell'imponente rilievo è di ben 5000 km e la vetta maggiore raggiunge i 4500 metri di elevazione. La regione immediatamente ad est degli Altai è scavata dagli importanti crateri Sacrobosco (80 km), Abulfelda (65 km) e Descartes (50 km). Inoltrandoci più ad est (riquadro VII) entriamo nelle regioni raggiunte dal terminatore ove la luce radente mette in risalto l'ampiezza e la maestosità dei più grandiosi circhi lunari. Sono formazioni che curiosamente si mostrano spesso in sequenza: notiamo le catene formate dai crateri Aliacense, Werner, Lanchino, Lacaille, dagli interni completamente in ombra, e poi sul loro prolungamento, verso nord, l'altra catena costituita da Parrot, Albategnio ed Hipparco. La presentazione pressochè zenitale di queste formazioni mette in evidenza la maestosa grandiosità dei rilievi montuosi che recingono, in cerchi quasi perfetti, le depressioni interne accidentate e tormentate da picchi, crateri minori e fratture, sulle quali si allungano le ombre dei bastioni periferici. Albategnio è una vastissima depressione (130 km di diametro) dal possente recinto degradante a terrazze, costellato da crateri secondari; Hipparco, che lo sfiora immediatamente a nord, è anch'esso una formazione circolare molto estesa (160 km) ma poco definita a causa della rovina dei suoi bastioni esterni. Qui gli altipiani dai grandi crateri hanno pressochè termine; ci stiamo inoltrando verso le regioni dominate dai "mari" e, tranne i crateri Retico (50 km), Agrippa (45 km), Manilio (bel cratere di 40 km dai bastioni lucenti e dal picco centrale), e la coppia Hygino e Triesnecker già menzionata, non ce ne sono molti altri da ricordare.

Obiettivi degni della massima attenzione sono invece alcune lunghe catene montuose che rappresentano i più eclatanti esempi di orografia lunare: esse mostrano di regola un retroterra che sale gradualmente dal fondo degli scuri deserti circostanti, in un groviglio selvaggio di rocce e di picchi accatastati; raggiungono la massima elevazione e poi sprofondano bruscamente lungo un profilo di cedimento invariabilmente arcuato che delimita gli orli di antiche effusioni laviche. Sulla pianura desertica di questi mari di antica materia vulcanica, si possono notare le ondulazioni e le irregolarità pietrificate da epoche immemorabili, testimonianti tuttora dell'irruente violenza degli elementi primordiali. Ora sul malinconico, silenzioso scenario, si allungano le ombre proiettate dalle vette più eccelse. Le catene montuose in questione recingono le solitudini circolari del Mare della Serenità e del Mare delle Piogge laddove esse divengono fra loro tangenti; si forma così una specie di gigantesca X della quale i rami rivolti al Mare della Serenità sono formati dai monti Haemus e dal Caucaso, mentre quelli rivolti al Mare delle Piogge (solo parzialmente visibile in questa fase lunare) costituiscono la catena degli Appennini e delle Alpi. I picchi più elevati degli Appennini sono quelli del monte Huygens (5600 metri), del monte Bradley (5000 metri), del monte Hadley (4800 mt). Essi gettano le loro lunghe ombre non direttamente sul Mare delle Piogge (ancora immerso nella notte) ma sulla cosiddetta Palude della Putredine (chissà poi per quale motivo) che appare solcata da fratture parallele all'andamento del ciglio della catena montuosa, e nella quale si spalancano i grandi recinti dei crateri Autolico (40 km) ed Aristillo (55 km) mostranti il fondo ancora immerso nell'oscurità più assoluta. La catena del Caucaso sembra morfologicamente il naturale proseguimento degli Appennini ed anch'essa offre la vista di alcune vette cospicue fra le quali quella di Calippo supera i 6000 metri di altezza sulla pianura circostante. Fra questo massiccio e l'attacco delle Alpi si scorge l'interessante cratere ovale seminterrato di Cassini (60 km) sul quale la luce radente mette in rilievo la presenza di due crateri minori. Le Alpi, che limitano a nordovest il vasto Mare delle Piogge, si presentano in realtà come una manciata di vette sparse, di cui la più elevata è il monte Bianco (circa 4000 metri d'altezza). Fra questa vetta e il cratere di Aristillo, sul fondo oscuro della grande distesa pianeggiante immersa nella penombra causata dall'ancora bassa altezza del Sole sull'orizzonte lunare, spicca la cima luminosissima del monte Pitone che si erge solitario fin oltre i 2000 metri d'altezza: per la ripidità dei suoi pendii fa parte di quelle formazioni dette "montagne ad obelisco". Ma un dettaglio che non va assolutamente dimenticato è la celebre "Valle delle Alpi" che si mostra come un largo solco perfettamente rettilineo scavato, da ovest verso est, nel retroterra della catena alpina. E' lungo 150 km; la sua larghezza (in media di 15 km) va rastremandosi ad occidente testimoniando, forse, di un antico impatto radente da parte di un bolide gigantesco. Alla base della catena del Caucaso (riquadro XV) si aprono i larghi crateri di Eudosso (65 km) e di Aristotile (100 km) entrambi dotati di un possente sistema di bastioni circolari.

 

Il luogo di "allunaggio" dell'Apollo 11, fotografato dalla Terra, presso i crateri gemelli Sabine e Ritter.

 

La regione che si affaccia al lembo nordoccidentale della Luna si mantiene anch'essa povera di crateri; nei riquadri XIII, XIV e XV non contiamo che le formazioni di Gauss e Messala, grandi ma poco visibili a causa dell'illuminazione diretta; e poi, sul bordo del Lago della Morte, la coppia Atlante-Ercole (90 e 70 km rispettivamente, profondamente scavati e recinti da bastioni a terrazza), il  cratere Burg dal profilo regolare scavato proprio al centro del suddetto lago; il cratere Endimione fortemente schiacciato dalla prospettiva radente, ed infine, molto vicini all'ultimo lembo illuminato, i crateri Goldschmidt e Barrow che emergono in luce soltanto con i loro accidentati recinti montuosi. Possiamo, a questo punto, dedicarci ad osservare in particolare qualcuno dei dettagli che più hanno destato il nostro interesse e la nostra ammirazione: cambiamo oculare e passiamo ad ingrandimenti più sostenuti che limitano il campo ottico alla sola regione prescelta. Ma ormai è tardi; sono trascorse alcune ore dall'inizio delle nostre osservazioni e la mezza Luna lucente sta declinando verso l'orizzonte arrossandosi nei bassi strati dell'atmosfera. Anche se l'entusiasmo si mantiene vivo, gli occhi, affaticati dall'attenta e prolungata concentrazione, sono stanchi. Non ci resta che riporre accuratamente lo strumento che ci ha tanto ben serviti, per riutilizzarlo quando la Luna si troverà in fase di Ultimo Quarto e ci mostrerà allora la seconda metà del suo disco.

 

 

La calotta australe e l' "occhio della Luna"

 

La Luna all'ultimo quartoQuesta volta per dedicarci al completamento della conoscenza morfologica dell'astro delle notti, siamo tenuti a sacrificare un poco della nostra comodità. Infatti oggi l'obiettivo è quello di esaurire, con l'osservazione dell'Ultimo quarto di Luna, la descrizione di tutti quegli aspetti superficiali percepibili con un modesto telescopio d'amatore, che avevamo interrotto con l'esame del satellite al suo primo quarto di fase: ma la Luna (Luna calante in tale occasione) sorge dopo la mezzanotte e dobbiamo aver la pazienza di attendere una buona ora ancora per aver l'astro ben sollevato sull'orizzonte, libero dalle brume fumose dell'est.

Confortati, al solito, dalla nostra brava mappa, dalla comoda poltrona, dal discreto raggio della torcia elettrica ed anche, in previsione della prolungata veglia che ci attende, da un capace thermos ripieno di tiepido caffè, cominciamo a rivolgere la vitrea pupilla del nostro strumento al silente astro notturno che sale insensibilmente nel firmamento irradiando l'aria di tenue luminosità argentata. L'aspetto della superficie lunare (se abbiamo avuto l'accortezza di adottare un ingrandimento ottico modesto, potremo scorgere la mezza luna al completo con la parte convessa, a differenza del vero, rivolta verso occidente a causa del capovolgimento dell'immagine) è caratterizzata, in questa fase, e a differenza della presentazione dell'altra metà, da una distribuzione nettamente asimmetrica fra le "terre" luminose e craterizzate ed i "mari" grigi o pianeggianti. Le prime sono raccolte intorno al corno superiore (regioni meridionali) mentre quasi tutta la rimanente superficie è ricoperta dalle vaste distese del Mare delle Nubi (Mare Nubium: 450.000 kmq) al centro sud, dall'Oceano delle Tempeste (Oceanus Procellarum: 2.000.000 kmq) ad est e dal Mare delle Piogge (Mare Imbrium: 1.500.000 kmq) a nord: la lunga striscia pianeggiante del Mare del Freddo (Mare Frigoris: 500.000 kmq) corona infine a settentrione la serie delle pianure lunari.

Iniziamo dal riquadro XXII della nostra mappa ove probabilmente l'accatastamento dei crateri supera quello di qualsiasi altra regione lunare. Vi sono compresi esemplari insigni: Moretus (130 km) vicino all'estremo bordo, dal fondo ancora in penombra dal quale svetta una cima di 3000 metri; Newton (230 km) quasi a ridosso del primo mostrante i poderosi contrafforti a terrazza deformati dalla maggior vicinanza al bordo; Clavius (250 km) situato nei pressi del polo meridionale, la più vasta formazione craterica visibile sull'emisfero che la Luna ci rivolge, dal fondo crivellato di crateri minori e dai possenti contrafforti, dal profilo poligonale, che appaiono semidistrutti in due punti antipodici da impatti secondari (detriti sollevati dall'urto del planetoide che fu all'origine dell'interessante formazione); Maginus, subito a nord, dal fondo altrettanto accidentato mostrante i possenti contrafforti occidentali, illuminati dal Sole calante, che s'innalzano a 4500 metri d'altezza, mentre rovinati e caotici appaiono i bastioni orientali. Scendendo verso nord, lungo il terminatore, si apre il cratere rotondeggiante dedicato al filosofo svizzero Saussure di 50 km di diametro, e poi scorgiamo la terna di crateri parzialmente compenetrati di Huggins, Nasirriden e Miller.

A nord est da Maginus si spalanca il bellissimo, regolare cratere dedicato al sommo astronomo danese Tycho: quando è il plenilunio il suo recinto montuoso splende di luce abbagliante e costituisce il cosiddetto "occhio della luna" dal quale s'irraggia una vistosissima raggera di striature luminose che si allungano per distanze considerevolissime (un raggio si prolunga per oltre 90 gradi, fino ad attraversare il Mare della Serenità; un altro, un poco più corto, giunge al Mare del Nettare e penetra in quello della Fecondità). La natura della raggera che circonda Tycho, come di altre che tosto vedremo, è dovuta al diverso potere riflettente delle masse di detriti fusi e proiettati tutti intorno dalla dinamica dell'impatto che dette origine al cratere centrale.

Ammiriamo il fondo regolare della depressione di Tycho che si spalanca per 90 km: i bastioni possenti risalgono in ampi terrazzamenti fino a 4000 metri d'altezza, mentre dal fondo del cratere, parzialmente invaso dalle fitte ombre dei contrafforti orientali, emerge per 2000 metri il picco centrale in cima al quale è possibile intravedere una piccola bocca vulcanica. L'ampia cavità craterica che si apre a sud est di Tycho è Longomontanus, dalla forma irregolare in cui s'indovina un profilo poligonale la cui massima ampiezza raggiunge i 150 km: interessanti in questa formazione il bastione meridionale, quasi rettilineo e fortemente scosceso, e, dalla parte prospicente del recinto, la presenza di crateri secondari che ne deturpano l'andamento. Torniamo a Clavius per notare, a ridosso dei suoi bastioni meridionali, il cratere Blancanus di 100 km e, affiancato ad est, quello di Scheiner, abbastanza regolare, di 115 km di diametro con versanti interni ripidi e butterati di piccoli crateri.

Spostando l'attenzione verso il lembo lunare, notiamo l'impressionante accatastarsi di crateri e di montuosità scintillanti al Sole declinante che la forte deformazione prospettica rende apparentemente caotico. Fra i riquadri XXII e XXIII riconosciamo i crateri Casatus (70 km), Bailly (230 km) quasi all'orizzonte, del quale le librazioni portano più o meno in vista l'enorme estensione del suo interno, forse più vasto di quello di Clavius, butterato di una miriade di crateri grandi e minuscoli; Schiller, una cavità allungata di 170 km; e poi la triade Phocylides (130 km); Wargentin, il caratteristico altipiano ellittico che è in realtà un cratere di 90 km riempito fino all'orlo di antica lava, sollevato di 4000 metri sul livello circostante; ed infine Schickard, vastissima cavità dal fondo di tonalità variabile (è piuttosto oscuro in corrispondenza delle anse estreme dell'ellisse) mostrante un recinto, largo ben 220 km, dal ciglio alquanto smussato e di modesta elevazione.

All'estremo lembo meridionale, e se le condizioni inerenti alle librazioni sono opportune, vedremo stagliarsi le poderose strutture dei monti Leibnitz, proprio al limite del terminatore e, più ad est, i Monti Doerfel e la Catena dei Monti Rook. I primi, dedicati al famoso matematico tedesco, corrono per circa 30° proiettandosi sul lembo meridionale e s'immergono nelle ombre notturne da cui svettano, scintillanti, le cime più eccelse alte ancor più del nostro Everest: la seconda formazione orografica (che porta il nome di un astronomo tedesco) è anch'essa fra i più superbi esemplari di monti lunari ed increspa l'orizzonte più ad est, in piena luce, ove è possibile discernere le vette maggiori che si sollevano fino agli 8000 metri d'altezza; infine i Monti Rook contano alcune vette alte 6-6500 metri rispetto al piano circostante.

 

La regione della "Grande Muraglia"

 

Torniamo ora verso la fascia del terminatore, laddove la luce radente del Sole che sta discendendo sugli orizzonti seleniti, proietta lunghe ombre ed accende di vivida luce i rilievi mettendone, al contempo, in massimo risalto ogni pur minima conformazione. Nel riquadro VIII della nostra mappa, subito a nord dei già citati Nasirriden, Huggins ed Orontius, possiamo seguire lo sviluppo di una lunga catena di ampi circhi i quali, inoltrandosi in zone più centrali del disco lunare, offrono allo sguardo ammirato dell'osservatore i più belli esempi di "recinzioni poligonali" che siano visibili sulla faccia del satellite. Intendiamo descrivere, partendo al solito da sud ed inoltrandoci verso nord, la triade Walter, Regiomontanus e Purbac,  seguita dall'altra dedicata ad Arzachele, Alfonso e Tolomeo. Walter è un'ampia depressione (150 km) nella quale l'oscurità in cui è immersa impedisce di scorgere alcune valli che la solcano e i piccoli crateri interni che la costellano.

A ridosso si apre Regiomontano che si presenta come schiacciato dalla prossimità del successivo Purbach. Il recinto del primo (130 km) appare parzialmente distrutto ed irregolare denunciando, nel complesso, un'origine anteriore rispetto ai crateri circostanti: all'interno spiccano le cime di una piccola catena montuosa. Purbach, di 120 km di diametro, mostra un recinto chiaramente esagonale con la parte settentrionale distrutta da alcuni crateri d'impatto secondari. Il fondo si mostra ingombro di rilievi caotici e di picchi dispersi. A ridosso, verso nord ovest, si apre il cratere minore dedicato a  Thebit (50 km) un astronomo indiano del secolo IX.

Ad est di questa formazione, nella regione desertica appartenente alla porzione occidentale del Mare delle Nubi si apre, isolato, il piccolo cratere Birt.

Fra questo e Thebit si allunga la celebre "muraglia diritta": si tratta di un grandioso fenomeno di dislocamento del suolo che appare sprofondato e sfalsato di 300 metri rispetto alla parte occidentale, per una lunghezza di 90 km. E' una formazione quasi assolutamente lineare che, in questa fase di luna mostra il ciglio illuminato, corrente obliquamente da nord a sud ove l'estremità meridionale mostra alcuni nodi ed un breve andamento curvilineo. Al di là, oltre il piccolo cratere Birt, si scorge una formazione analoga ma dall'andamento ricurvo. A nord di Thebit, la catena dei grandi circhi prosegue con Arzachele, Alfonso e Tolomeo, rispettivamente di 100, 110 e 150 km di apertura, tutti dai contorni sensibilmente esagonali.

La triade dei crateri Arzachele, Alfonso e Tolomeo visti al Sole calante

 

Arzachele è circondato da pendii elevati fino a 4000 metri e dal suo fondo s'innalza un picco montuoso di 1500 metri d'altezza. Il ripiano interno del circo successivo, Alfonso, è occupato da una vetta centrale dotata di due crateretti dai quali, il 3 novembre 1959, l'astronomo sovietico N.A. Kozirev vide sgorgare un bagliore rossastro di cui registrò lo spettro.

Anche la vasta depressione di Tolomeo possiede un picco centrale e mostra, oltre alle evidenti ondulazioni del terreno, una coppia di crateri minori verso l'orlo settentrionale. Immediatamente a nord, sul pendio esterno, si apre il piccolo e profondo cratere attribuito ad Herschel. Torniamo ora al riquadro VII in gran parte occupato dal bacino meridionale del Mare delle Nubi: possiamo scorgere, quasi al centro, scavato nella grigia distesa desertica, il cratere regolare di Bullialdus largo 60 km dagli interni pendii degradanti in ampi terrazzamenti, lambito ad oriente da un'ampia striatura chiara facente parte della raggera promanante da Tycho. Ad ovest, in pieno deserto, è l'irregolare cratere dedicato a Max Wolf, mentre sulla costa meridionale vediamo aprirsi il pianeggiante circo Pitatus (75 km) dal recinto basso e frastagliato, e poi i due crateri di Mercator e di Campanus delimitanti dal Mare Nubium la modesta area detta Palude delle Epidemie entro la quale è da ricordare Capuanus, un cratere seminterrato dal fondo molto scuro. Procedendo verso est, al di là di un'irregolare chiara striscia terrosa, si apre il bacino del Mare degli Umori (Mare Humorum) dalla modesta superficie di 80.000 kmq. Sul bordo meridionale vi si scorgono i crateri di Vitellio (50 km) e di Doppelmayer, parzialmente interrato (65 km); su quello orientale possiamo annoverare quelli dedicati a Fourier, Cavendish, Mersenius quest'ultimo molto regolare con terrazzamenti degradanti all'interno, ed infine il vasto Gassendi compenetrato, sul ciglio nord del recinto, dal cratere minore Clarkson. Costituisce un'arena vasta 90 km pianeggiante e solcata da un fitto sistema di fenditure che l'illuminazione diretta impedisce di rilevare: tre o quattro picchi montuosi segnano, al centro, il luogo d'impatto del bolide che generò il cratere. I bastioni che lo recingono sono poco rilevati e, a nord, parzialmente demoliti. Più a est notiamo il piccolo circo ovale di Billy dal fondo molto scuro e poi, in piena luce, il cratere Darwin fortemente raggiato.

Proprio al lembo si stagliano le cime scoscese della Cordigliera svettanti fino a 5000 metri. Subito a nord s'intravede una propaggine del Mare Orientale che è un bacino desertico estendentesi quasi completamente nell'emisfero opposto della Luna. Nel riquadro I, a nord del grande circo di Tolomeo, vediamo la scura regione pianeggiante del Sinus Medii (Golfo del Centro) un piccolo bacino interno, posto in posizione centrale, di 40.000 kmq in cui si apre, ben visibile, il modesto cratere Mosting che costituisce un caposaldo per la cartografia lunare. Poco più a nord è Schroeter, un piccolo cratere dal recinto semiaperto. Il bordo opposto del Golfo del Centro è occupato dalla coppia di crateri Murchison e Pallas: nell'entroterra sono visibili alcune profonde fenditure appartenenti al sistema di faglie di Hyginus del quale abbiamo parlato precedentemente.

 

Mister cratere: Copernico 

 

Allontanandosi dalla zona del terminatore le solitudini desertiche proseguono con il Golfo delle Maree (Sinus Aestuum) e, verso sud, con il Mare delle Nubi il quale,con il suo profilo irregolare ricopre un'area lunare grande quanto la penisola iberica: di questo vasto bacino ci rimangono in particolare da descrivere le formazioni contenute nel riquadro VI della nostra mappa. L'oggetto più importante è naturalmente l'imponente cratere dedicato a Copernico. Esso costituisce forse l'esempio più suggestivo e completo di depressione scavata dall'antico impatto di un grande aerolito.

L'urto non soltanto aprì un cratere vasto 90 km sul cui fondo rifuso, sollevate dall'immane contraccolpo solidificarono quelle masse che oggi costituiscono un certo numero di picchi centrali alti 5-700 metri ma, al di là del superbo sistema di bastioni degradanti a terrazza, del cui ciglio ben netto è facile indovinare la poligonalità del profilo, si estende una vastissima regione la cui natura morfologica appare profondamente sconvolta.

Vogliamo parlare della luminosa raggera che circonda il grande cratere, molto luminosa in fase di luna piena, ma meno estesa e regolare di quella che circonda Tycho. La metamorfizzazione delle rocce superficiali, che sono alla base delle striature, si estende per centinaia di chilometri ben entro il Mare delle Piogge a nord, e nell'Oceano delle Tempeste ad est: inoltre c'è tutto intorno una congerie di crateri minori (alcuni microscopici, collegati a catena in grandissimo numero). di fratture del suolo, di massicci montuosi e di vette isolate che traggono la loro origine dagli effetti secondari connessi alla formazione di Copernico.

A sud est troviamo il cratere Reinhold seguito da Landsberg, dal vistoso picco centrale, e poi il raggiato minuscolo Euclide posto fra le modeste catene del Monti Rifei e dei Monti Urali non più alti di mille metri dalla superficie desertica. In tale zona il 19 novembre 1969 si concluse, con l'approdo del modulo di discesa pilotato da Conrad e Bean, la missione dell'Apollo-12. In direzione sud l'alterazione del terreno penetra e suddivide il Mare delle Nubi  e vi si scorge un anonimo craterino raggiato, alcuni frammenti montuosi, ed infine il grande cratere di Fra Mauro, di 80 km di ampiezza, il cui basso recinto semisommerso venne ammirato dagli occhi di Shepard e di Mitchell dopo che questi furono approdati nella zona con il loro modulo "Antares" il 5 febbraio 1971 (missione Apollo-14).

Ad ovest di Copernico la luce radente mette in evidenza sul terreno pianeggiante la presenza di fratture sinuose e di catene di minutissimi crateri che si estendono fin nei pressi del bellissimo, regolare e profondo recinto di Eratostene che è sfiorato dall'estremità orientale della lunga catena degli Appennini. I poderosi baluardi che delimitano questo cratere s'innalzano fino a 5000 metri dalla pianura circostante, mentre il fondo è depresso di circa 2000 metri, salvo il rilievo centrale scavato da una fossa culminale.

A nord Copernico è protetto dall'irregolare catena dei Monti Carpazi che si estende da ovest verso est per 400 km: in realtà una successione di massicci isolati la cui cima più elevata s'innalza a 2500 metri d'altezza. Fra di essi s'indovinano i crateri dedicati a Gay-Lussac e a Tobias Meyer. Ad est la regione è contrassegnata da alcuni piccoli e profondi crateri sparsi: Wagner, Hortensius, Kunowsky, Milichius. Il recinto attribuito ad Encke è invece più largo (35 km) e mostra un fondo piatto.

A nord di quest'ultimo splende il luminosissimo cratere Keplero, dal ben costruito recinto largo 35 km, a bastioni degradanti, dotato di rilievo montuoso centrale. Anche Keplero costituisce un pregevole esemplare di cratere raggiato le cui strie luminose si confondono con quelle del vicino Copernico.  Al vertice nordorientale di un triangolo ideale con questi due crateri (entriamo nel riquadro XVIII) il nostro sguardo è richiamato da una terza raggera che la luce solare diretta rende addirittura sfolgorante: è il bel cratere Aristarco, in pieno Oceano delle Tempeste, il cui profilo irregolare, reso ovale dall'inclinazione prospettica, si apre per 50 km su un altipiano roccioso. E' fiancheggiato da Erodoto, più basso e pianeggiante dal diametro di 40 km. A nord, scaturente da un'altura addossata a questo cratere, inizia a snodarsi un solco profondo e sinuoso che, dal nome del suo primo osservatore è stato chiamato Valle di Schroeter. L'attacco di questo canyon è detto la Testa del Cobra a causa della forma caratteristica: l'andamento è volto dapprima in direzione nord ma, dopo un'ampia curva ad est, torna a dirigersi a sud: è ritenuto un antico tunnel lavico del quale è crollata la volta superiore. Il piccolo cratere ad oriente è Schiaparelli; l'altro, ad occidente e dalla forma falcata, è Prinz, posto all'estremità di una catena di cime sparse (Monti Harbinger). Penetriamo ora nel riquadro XIX in pieno Oceano delle Tempeste (Oceanus Procellarum) uno dei più estesi deserti lavici lunari che distende all'irradiazione impietosa del sole la sua brulla, cupa solitudine capace di contenere tutta l'estensione della Russia europea. Come confini occidentali del bacino possono essere riguardate le catene dei Monti Urali e Rifei e la regione di Copernico; a nord i Monti Carpazi e i Monti Harbinger lo separano parzialmente dall'adiacente distesa del Mare delle Piogge (Mare Imbrium):  la regione Aristarco-Erodoto fa da avamposto all'apertura del Sinus Roris (Baia della Rugiada), porta d'ingresso alla fascia grigiastra del Mare Frigoris (Mare del Freddo). Il bordo orientale dell'Oceano delle Tempeste si mostra invece ben delineato grazie alla presenza di "terre" che risaltano sotto l'incidenza diretta della luce solare. In questa zona, e fino al lembo lunare, si possono contare, andando da sud verso nord, molti crateri importanti come il recinto oscuro di Grimaldi (220 km), di Hevelius (110 km), di Riccioli (160 km) e poi più isolati, Cardanus, Kraft, Seleucus, quest'ultimo ad est della coppia Erodoto-Aristarco.

Ma la posizione periferica e l'illuminazione inadatta rendono poco appariscenti tali formazioni, salvo il circo di Cavalerius (70 km) che è circondato da una vistosa raggera. A sud le coste dell'Oceano delle Tempeste si mostrano abbastanza luminose e contano il largo cratere semisommerso dedicato all'archeologo Letronne (80 km) dotato di un modesto picco centrale, poi quello di Burrell anch'esso appena emergente, ed infine la vasta arena di Grimaldi che è stata già annoverata. La brulla superficie basaltica dell'enorme bacino di cui abbiamo seguito i contorni, si mostra mossa da frequenti ondulazioni del suolo dal quale emergono una miriade di sporadici craterini di recente formazione, nonché le tracce fantasma di antichi circhi molto vasti (ad esempio Wichmann e Flamsteed che s'indovinano dinanzi al già citato Letronne) invasi e sommersi dai materiali fusi che fluirono con impeto distruttivo all'epoca del cataclisma che presiedette la formazione di tutta questa regione lunare. Se vogliamo ora spingere lo sguardo sino all'estremo lembo orientale potremo notare, sempre entro il riquadro XIX, il profilo della lunga catena dei Monti D'Alembert le cui cime più elevate si spingono a 6500 metri d'altezza. Seguiamo il bordo lunare fin entro il riquadro XVIII e vi scorgiamo, molto prossimo ad esso e fortemente deformato dalla visione radente, l'allungatissimo cratere dedicato all'astronomo russo Otto Struve che è in realtà formato dalla fusione di due antichi circhi di 150 km di diametro ciascuno.

 

 

La regione dei crateri Archimede, Autolico ed Aristillo nel Mare delle Piogge.

 


 

Testimonianze di una collisione catastrofica

 

Ora dobbiamo rivolgere la nostra attenzione al quadrante centro-settentrionale che contiene, forse, le formazioni orografiche di più notevole interesse: si tratta del grande bacino rotondeggiante del Mare Imbrium (Mare delle Piogge), una gigantesca depressione nata dall'urto formidabile di un vero e proprio planetoide che cozzò, qualche miliardo d'anni or sono, contro la superficie lunare provocandone la fusione su un'area vasta quanto l'Australia. La ribollente onda d'urto si propagò tutto intorno al centro d'impatto, ingoiando e distruggendo i rilievi orografici più antichi. Il ciglio della distruzione s'arrestò a sud sud-ovest disegnando il ripido profilo arcuato della grande catena degli Appennini; ad ovest esso fu segnato dalle sparse cime caotiche dei Monti del Caucaso e delle Alpi ove un frammento di scoria, lanciato in traiettoria radente, incise senza dubbio la profonda rettilinea Valle Alpina.

Le onde incandescenti di magma invasero e colmarono il cratere di Cassini, quello d'Archimede e l'area considerevole di Platone disegnando nel contempo, a nord, le arcuate sponde del Golfo dell'Arcobaleno (Sinus Iridum) che si allungano per 250 km dal promontorio Laplace, ad ovest, a quello di Eraclide, ad est. Le ondulazioni lasciate dalla lava solidificata risaltano sul terreno a causa della luce radente, in tutto il vasto piano del Mare delle Piogge; ad ovest si aprono le buie voragini dei crateri Autolico (40 km), Aristillo (60 km), dai poderosi bastioni circolari, ed Archimede che denuncia un'origine più antica in quanto il suo fondo, ora piatto e levigato di 80 km di apertura, fu ricoperto dalle lave fuse al momento del grande cataclisma che dette origine alla regione. Il massiccio che si distacca da Archimede mostra una chiara struttura di solcature parallele in direzione ortogonale allo sviluppo della catena appenninica.

Il gruppo montuoso a nord di Archimede costituisce i Monti Spitzbergen, mentre il cratere con picco centrale, ad est, è Timocharis di 40 km. A metà strada si scorgono i nitidi fori che rappresentano i craterini Beer e Feuillé. Proseguendo ancora verso oriente (riquadro V) la solitudine basaltica appare scavata dai minuscoli Pitheas ed Eulero, a nord dei Monti Carpazi, e poi da Diophantus e Delisle. Di fronte al Golfo dell'Arcobaleno (riquadro XVI) ricordiamo, ad oriente, il craterino dedicato alla sorella di Herschel, Carolina, mentre ad occidente troviamo la coppia che porta i nomi di Leverrier e di Helicon. La bellissima formazione costiera del Golfo dell'Arcobaleno si estende arcuata per alcune centinaia di chilometri mostrando il ripido versante delle sue selvagge scogliere aperte sul desolato scenario del deserto prospiciente. I pinnacoli maggiori di questo rilievo peculiare, che prende il nome di Monti del Giura, si elevano a 6500 metri d'altezza.

Ad est la scogliera aggetta in un promontorio, il Capo Eraclide che svetta a 1300 metri di altezza: sotto opportune condizioni d'illuminamento (in specie durante la fase di Luna crescente) questo picco e le sue propaggini orientali assumono un vago aspetto di testa femminile dalla chioma fluente al vento. Il promontorio che termina ad occidente il Golfo dell'Arcobaleno, è invece molto più alto, raggiunge i 3000 metri ed è dedicato a Laplace. La scogliera riprende a correre verso ovest, ben nettamente disegnata, s'innalza la barriera di picchi che è detta la Catena Diritta lunga 60 km, le cui cime elevate gettano le loro ombre da 2000 metri d'altezza. L'entroterra del Golfo dell'Arcobaleno si estende come un irregolare altipiano crivellato di modesti crateri, delimitante a nord la stretta fascia del Mare Frigoris (Mare del Freddo).

Ripieghiamo verso la fascia del terminatore e, nel riquadro XV, notiamo che la scogliera prosegue il suo sviluppo verso occidente delimitando la vasta arena oscura di Platone per poi subito sollevarsi nel caotico groviglio di vette che costituisce il massiccio delle Alpi. Nell'attuale fase l'illuminazione radente della regione mette in evidenza tutta la disordinata rugosità: vette scintillanti nel Sole si stagliano dalle lunghe ed impenetrabili ombre delle valli che vennero scavate dall'irruenza del cataclisma che presiedette alla formazione del Mare delle Piogge. Sembra che questa parte del suolo lunare si trovasse situata proprio in direzione frontale alla traiettoria del planetoide che fu protagonista della collisione: del resto l'andamento rettilineo della profonda cicatrice che segna la Valle Alpina, ed anche quella visibile subito ad ovest di Platone, paiono confermare la dinamica del fenomeno in quanto sono ritenute scavate dai detriti sollevati dall'impatto.

Altri frammenti ricaduti e rimasti semisepolti nel magma che spianò a quell'epoca la vasta area del Mare delle Piogge, sono rappresentati ad esempio dalle "montagne ad obelisco" di cui gli esemplari più vistosi sono Pitone, Pico, la montagna isolata sorgente dinanzi al circo Platone gettante sulla pianura la lunghissima ombra dall'alto dei suoi 2500 metri; i Monti Teneriffa, una rimarchevole serie di vette dalla quale si diramano alcune altre cime isolate in direzione di Platone. Passiamo ora alla descrizione dell'area dedicata all'antico filosofo greco. L'ovale del suo recinto, ben rimarcato dall'illuminazione radente, ha una forma regolarissima (ben inteso il circo è rotondo e la forma ellittica è connessa alla posizione eccentrica sul disco lunare). Il fondo appare assolutamente pianeggiante, bucherellato da alcuni craterini d'origine recente, dello stesso color grigio intenso del vicino Mare delle Piogge. Realmente Platone può considerarsi una specie di bacino interno, un grande lago nel quale si riversò a suo tempo la lava fluente liberamente alla superficie. La larghezza di questa formazione si aggira sui 95 km; sul fondale si allungano le ombre dei bastioni orientali che appaiono incisi profondamente da un taglio triangolare che isola una massa montuosa alta oltre 2000 metri. L'arco dei bastioni meridionali si mostra rotto da erosioni, mentre l'ansa occidentale offre un versante interno più ripido e compatto. Due solchi molto incisi delimitano questa parte del recinto; altri solchi spaccano la compattezza delle muraglie settentrionali e penetrano fin nella vasta arena interna: è chiaro che tutte queste fenditure sono state scavate a suo tempo nel terreno da parte dei torrenti di lava che si sono riversati entro Platone.

Nella lunga striscia del Mare del Freddo solo due o tre crateri attirano l'attenzione, e tutti modesti fra cui citiamo Foucault ed Harpalus. Lo sbocco di questa regione nella più vasta area desertica dell'Oceano delle Tempeste è occupato, come abbiamo già visto dal Golfo della Rugiada  (Sinus Roris) sotto la cui superficie s'indovinano (riquadro XVII) i profili di alcuni crateri sommersi dall'antico mare di lava. Le regioni del margine boreale della Luna tornano di nuovo a coprirsi di crateri fittamente accatastati, come abbiamo visto avvenire nelle regioni meridionali. Scorrendo fra i riquadri XV e XVI troviamo, alquanto distaccati dall'orizzonte lunare, e procedendo da ovest verso est, i grandi recinti di Barrow (65 km) semisepolto nell'ombra avanzante del terminatore, i crateri affiancati di Goldsmith (60 km) e di Anaxagoras (50 km): più ad oriente incontriamo la cavità di Filolao (74 km), di Anassimandro (65 km) e di Pitagora (120 km) quest'ultimo dotato di un bel picco centrale.

Nelle terre dell'estrema regione settentrionale del satellite ha termine questo nostro rapido viaggio fra le più interessanti attrattive del mondo lunare. Siamo alquanto intirizziti, lo riconosciamo, data l'ora notturna inoltrata nella quale già percepiamo il frizzante sentore dell'alba incipiente. Ma non ce ne lamentiamo, tutt'altro: con uno sguardo stanco e soddisfatto alla Mezza Luna calante il cui latteo chiarore va indorandosi leggermente fra le vaghe brume dell'occidente, ci accingiamo a sgomberare la nostra terrazza, consapevoli che il breve, prossimo sonno ristoratore che ci attende, sarà tutto pervaso dal fremito ancora eccitato delle mille sensazioni vissute.